Verso la soluzione il mistero delle galassie supermassicce osservate nel giovane Universo, dove non dovrebbero esistere
Il modello cosmologico standard che descrive la nascita ed evoluzione dell’Universo sembrava essere stato messo in crisi da osservazioni del telescopio James Webb. Un recente studio sembra riconciliare osservazioni e teoria.
Se entrando in un asilo nido anziché trovare bambini che giocano, esattamente come ci si aspetterebbe, doveste trovare giovani adolescenti, non restereste alquanto sorpresi?
E’ questa l’immagine che l’astronomo Jorge Moreno del Ponoma College ha utilizzato per spiegare la grande sorpresa quando, analizzando le immagini di antichissime galassie - ossia di galassie molto giovani formatesi 200-300 milioni di anni dopo il Big Bang, si scopriva che invece di essere queste "bambine" erano già "molto più sviluppate".
Ma procediamo per gradi.
Tutto grazie a James Webb
Il protagonista delle osservazioni è proprio lui, il telescopio spaziale James Webb.
Ancor prima che divenisse operativo (metà del 2022), numerosi teams all’interno della comunità astronomica avevano già iniziato a preparare proposte scientifiche (proposals) che, grazie alle osservazioni di James Webb, avrebbero permesso di fare grandi progressi nella conoscenza. Solo alcune delle numerose proposte sono state successivamente approvate.
Tra queste citiamo, ad esempio, il proposal JADES (acronimo di JWST Advanced Deep Extragalactic Survey) finalizzato all’osservazione e lo studio di galassie lontanissime, tra le prime nate dopo il Big Bang o il programma CEERS (acronimo di Cosmic Evolution Early Release Science), da cui prende spunto il presente articolo.
Quindi, utilizzando la potenza, l’elevatissima risoluzione spaziale e la grande sensibilità nell’infrarosso di James Webb è iniziata l'esplorazione del giovane universo, raccogliendo immagini di lontanissime galassie.
Gli oggetti astronomici più vecchi sono oggetti del giovane Universo, cioè formatisi poco dopo il Big Bang.
Il modello cosmologico standard in crisi?
Assumendo per l’Universo un’età di circa 13.8 miliardi di anni, il telescopio James Webb sta raccogliendo immagini di numerosissime galassie vecchie fino a 13.5 miliardi di anni, quindi galassie formatesi nei primi 200-300 milioni di anni dopo il Big Bang.
L’inaspettata sorpresa è stata di scoprire tra le giovani galassie (i bambini dell’asilo nido dell'esempio precedente) molte di queste essere supermassicce, cioè ricchissime di stelle (i giovani adolescenti dell'esempio).
Perché questo sarebbe stato sorprendente? Lo è in quando secondo l’attuale modello di evoluzione dell'Universo le prime galassie non dovrebbero aver avuto sufficiente tempo per formare così tante stelle.
Quindi, nel giovane Universo è esclusa la possibilità che esistano galassie supermassicce, cioè ricchissime di stelle, secondo il modello cosmologico standard.
Ma come si calcola la massa di una lontanissima galassia se non si riesce a risolverla, cioè a distinguerne le stelle che la compongono.
La luminosità di una galassia dipende dal numero di stelle che in essa brillano. Pertanto, con opportuni calcoli, dalla luminosità di una galassia è possibile derivarne la massa totale e quindi il numero medio di stelle in essa presenti.
Le osservazioni di JWST mostravano per alcune lontanissime galassie, dall’apparenza di puntini rossi, una luminosità ben superiore alle aspettative e, quindi, un numero di stelle così elevato da essere difficilmente, anzi niente affatto giustificabile in galassie così giovani.
Una recente ricerca, guidata da una giovane studentessa, Katherine Chworowsky, dell’Università del Texas a Austin, sembra riuscire a scongiurare la conclamata crisi per il modello cosmologico.
La soluzione del mistero
Tra le giovanissime galassie, quelle risultate essere supermassicce sono una sorta di “impostori”, nel senso che l’eccessiva luminosità non si origina da un eccesso di stelle piuttosto dalla presenza di buchi neri attivi. Questi buchi neri, attraendo a sè il gas circostante, accelerandolo ne determinano emissione di luce, così tanta da essere confrontabile a quella emessa da numerosissime stelle. Quindi, non si tratta di “giovani adolescenti all’asilo” (come nell'esempio di sopra) ma di bambini, come previsto dal modello cosmologico, ma che ospitano buchi neri attivi.
Questa ipotesi dei buchi neri trova supporto anche da osservazioni indipendenti che mostrano all’interno di queste galassie presenza di idrogeno in rapido movimento, tipico indizio della presenza di dischi di accrescimento attorno ai buchi neri.
Eppure, se la crisi è scongiurata, anche escludendo dal campione di galassie giovani quelle con buco nero, il numero di stelle presenti in queste lontanissime galassie è almeno il doppio del previsto. Ciò ancora si concilia con il modello cosmologico standard. Tuttavia queste osservazioni chiaramente indicano che ai primordi dell’Universo il tasso di formazione stellare era comunque maggiore di quanto previsto. Un mistero si risolve per aprirsene un altro.