Tsunami nel Mediterraneo, online il modello di pericolosità

È stato realizzato il primo modello di pericolosità per tsunami generati da terremoti nell’area NEAM (Mar Mediterraneo, Atlantico Nord-orientale e mari connessi), frutto di un progetto europeo coordinato dall’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia italiano.

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L'esposizione agli tsunami delle coste italiane: un modello aiuterà a valutare la pericolosità.

È stato realizzato il primo modello di pericolosità per tsunami generati da terremoti nell’area NEAM (Mar Mediterraneo, Atlantico Nord-orientale e mari connessi), frutto di un progetto europeo coordinato dall’INGV, l'Istituto italiano di Geofisica e Vulcanologia.

Il modello, denominato NEAMTHM18 (NEAM Tsunami Hazard Model 2018), è frutto del Progetto Europeo TSUMAPS-NEAM, coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e finanziato dalla Protezione Civile Europea (DG-ECHO).

L'interesse per l'Italia

NEAMTHM18 è di particolare interesse per l’Italia perché è stato utilizzato come base per la pianificazione di protezione civile sulle coste italiane, ed anche per la gestione dell’evacuazione della popolazione in risposta ad una eventuale allerta tsunami diramata dal SiAM, il Sistema di Allertamento nazionale per i Maremoti generati da eventi sismici cui è parte il Centro Allerta Tsunami dell’INGV (CAT-INGV).

Il terremoto in Algeria del 18 marzo 2021

Infatti, lo scorso 18 marzo al largo della Sardegna e delle Isole Baleari si è rilevato uno tsunami di modeste dimensioni, conseguenza del terremoto di magnitudo 6.2 registrato dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV al largo delle coste dell’Algeria.

Questo tsunami, tra l’altro, non è stato l’unico verificatosi nell’area del Mediterraneo. Solo pochi mesi prima, il 30 ottobre 2020, un terremoto di magnitudo 7.0 con epicentro a Samos in Grecia, ha provocato uno tsunami a Samos e Smirne causando danni sia in Grecia che in Turchia dove, oltretutto, si è registrata una vittima proprio a causa del maremoto.

Roberto Basili, coordinatore del progetto TSUMAPS-NEAM per l’INGV e primo autore dell’articolo pubblicato sulla rivista scientifica ‘Frontiers’, spiega che come riferimento per la pianificazione sono stati identificati, come già fatto dalla Nuova Zelanda, gli eventi con tempo di ritorno medio di 2.500 anni.

"Questa scelta riflette il fatto che gli tsunami sono eventi relativamente rari ma con la capacità di causare gravi conseguenze, spiega ancora il ricercatore. "È da notare che questo tempo di ritorno medio è maggiore di quello di 475 anni considerato dalla normativa sismica, che è riferita a eventi più frequenti”, aggiunge.

Il modello NEAMTHM18 rappresenta dunque un primo importante passo per avviare valutazioni locali più dettagliate della pericolosità e dei conseguenti rischi da inondazioni generate da tsunami nell’area NEAM, essendosi già posto come punto di partenza per contribuire alla progettazione di mappe di evacuazione per il sistema di allertamento nazionale per i maremoti.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica 'Frontiers'.