Starnuti solari che "spegnerebbero" la Terra
La formazione di tempeste solari o geomagnetiche, a partire da grandi getti di particelle dalla superficie solare, ha un grande impatto sulla Terra, proprio come accadde in occasione dell'evento di Carrington, nel settembre del 1859.
Il Sole è la nostra principale fonte di energia. Come qualsiasi stella, la sua attività è conseguenza di reazioni termonucleari che avvengono al suo interno, con la conversione di idrogeno in elio e questo in altri elementi più pesanti. Viene liberata una enorme quantità di energia, che irraggia in tutte le direzioni, parte della quale arriva fino al nostro pianeta. Questo flusso di particelle elettriche, altamente energetiche, è conosciuto come vento solare.
Approssimando, la radiazione solare che arriva sulla terra può essere considerata costante, anche se questa “costante solare” (così si chiama ed ha un valore medio di 1367 W/m2, quantificando la radiazione solare che per unità di tempo incide su una superficie di un metro quadrato perpendicolare al flusso radiante e situata nel limite esterno dell'atmosfera) è soggetta a piccole variazioni, e in certe occasioni la quantità che arriva a noi è molto maggiore: in quei casi si parla di tempesta solare o geomagnetica.
Nella parte esterna del Sole si verificano ogni tanto delle grandi "fiammate", particolarmente intense nei periodi di massima attività solare. Gli astrofisici si riferiscono ad esse come espulsioni di massa coronale (CME, in inglese), visto che oltre alla radiazione viene rilasciata massa. Possiamo paragonare queste grandi esplosioni a enormi starnuti del Sole, che avvengono ogni tanto.
Quando, frutto del caso, uno di questi starnuti arriva fino alla Terra, impatta in modo violento contro la magnetosfera terrestre, che si incarica di deviare questo flusso di particelle altamente ionizzanti verso le due regioni polari. Il risultato è la tempesta geomagnetica. Quando queste particelle interagiscono con i gas che trovano nelle aree alte dell'atmosfera, si formano le affascinanti aurore polari.
L'evento di Carrington
L'estensione delle aurore dai poli verso il sud dipende dall'intensità che ha avuto lo "starnuto" del sole. Il più grande che sia stato documentato fino ad oggi è quello del settembre del 1859 ed è stato battezzato come “evento di Carrington”.
Deve il suo nome all'astronomo inglese Richard Christopher Carrington (1826-1875), che l'1 settembre del 1859, quando il Sole lanciò una gigantesca "fiammata" verso la terra, stava facendo una osservazione delle macchie solari. Vide una di dimensioni straordinarie e lasciò testimonianza scritta di quell'evento.
Aurore boreali anche a Roma e Madrid
I giorni successivi a quell'evento, non solo si osservarono aurore boreali in luoghi come Roma, Madrid, L'Avana, ed in tutti gli Stati Uniti, ma addirittura dalle navi che navigavano nella regione equatoriale.
L'impatto di quella enorme tempesta geomagnetica andò più in là: le linee del telegrafo dell'epoca vennero interrotte, ed alcune stazioni si incendiarono. Quella tempesta solare ebbe un impatto planetario.
Che succederebbe oggi se si ripetesse un evento di Carrington?
La possibilità che un evento del genere si ripeta è reale. Oggi però possiamo fare qualcosa che non si poteva fare a metà del secolo XIX: anticipare lo starnuto con alcune ore di anticipo. Non è molto, ma è qualcosa.
Grazie ai satelliti che monitorano il Sole e grazie allo sviluppo previsionale raggiunto dalla meteorologia spaziale, possiamo rilevare eventuali eruzioni di grande magnitudo sul Sole, prima che gli effetti arrivino sulla Terra. Non possiamo però evitare il terribile impatto sul nostro pianeta. La tempesta geomagnetica che ne deriverebbe, presumibilmente, danneggerebbe i nostri satelliti, e farebbe molto danno alla rete di distribuzione di energia elettrica. Il nostro mondo digitale subirebbe un black-out, con un prevedibile effetto a catena sui server Internet. Difficile immaginare il livello di caos che ne risulterebbe.
L'unica consolazione è che potremmo ammirare splendide aurore polari dalle nostre case. L'obiettivo ora è che si riesca a costruire un sistema di difesa rapido, che protegga i sistemi più sensibili.