La scoperta degli esopianeti con il metodo delle velocità radiali
Ogni cinque esopianeti uno viene scoperto grazie al metodo delle velocità radiali. Sebbene molto dispendioso in termini di tempo, sforzo osservativo, e di analisi, è molto affidabile e generalmente utilizzato anche per confermare la vera natura dei pianeti scoperti con altri metodi.
Quando si annuncia la scoperta di un nuovo esopianeta si dice anche il metodo utilizzato per scoprirlo. Infatti, ne esistono principalmente quattro di metodi per la ricerca degli esopianeti.
Al primo posto si posiziona il metodo dei transiti con il 74.9% di pianeti scoperti, segue il metodo delle velocità radiali con il 19.1% di pianeti scoperti, a seguire il metodo della microlensing con il 3.7%, e, infine, il metodo dell’imaging con 1.2% di pianeti scoperti; rimane un 1.1% scoperto con altre tecniche molto laboriose.
La superiore efficienza di scoperta del primo rispetto al secondo metodo dipende esclusivamente dal diverso numero di stelle accessibili ai due metodi.
Mentre la ricerca degli esopianeti con il metodo delle velocità radiali comporta l’osservazione di una stella alla volta (al più di alcune centinania grazie alla spettroscopia multi-fibra), con il metodo dei transiti vengono osservate contemporaneamente dalle 100.000 stelle (come ha fatto il telescopio Kepler) a milioni di stelle contemporaneamente (come farà il telescopio PLATO tra circa 3 anni).
Dopo aver illustrato recentemente (vedasi articolo sopra proposto) in cosa consiste il metodo dei transiti, proviamo a capire su cosa si basa il metodo delle velocità radiali.
Cosa sono le velocità radiali
Tutti i corpi celesti (dai più piccoli e vicini ai più grandi e lontani) sono in movimento e, quindi, possiedono una velocità. Quella componente di velocità per cui il corpo celeste si allontana o si avvicina alla Terra, si chiama velocità radiale. Se il corpo si avvicina la velocità, per convenzione, è negativa, se si allontana è positiva.
Un esempio, non astronomico ma più vicino alla nostra quotidianità, lo offre la classica giostra con i cavallini.
Si immagini padre e figlio posizionati rispettivamente sul cavallo grande e su quello piccolo, come mostrato in figura, su una giostra. Il padre (più massiccio) ruota con il suo cavallo vicino al centro mentre il figlio (meno massiccio) vicino al bordo.
Poiché la giostra ruota, c’è un intervallo di tempo (dalla posizione a alla posizione c) in cui il padre si avvicina all’osservatore (rappresentato da un occhio) e un intervallo di tempo (da c ad a) in cui il padre si allontanerà. Questo movimento rispetto all’osservatore è detto radiale, e la velocità con cui il moto avviene è la velocità radiale.
Immaginando di poter misurare questa velocità, la si vedrà periodicamente passare dal valore zero in a ad un valore massimo positivo in b (in quanto si avvicina all’osservatore) per poi tornare al valore zero in c. Poi, raggiungerà un valore massimo negativo in d (in quanto si allontana dall’osservatore) e nuovamente al valore zero in a.
Lo stesso succede per il figlio, ma in modo speculare, cioè quando il padre si avvicina il figlio si allontana e viceversa.
Nel caso di un esopianeta che ruota attorno alla propria stella madre succede qualcosa di simile. Entrambi ruotano attorno al comune centro di massa (l’asse della giostra) ma non perché ci sia un motore come nella giostra ma a causa della reciproca attrazione gravitazionale, con la stella più massiccia vicino al centro di massa e il pianeta meno massiccio più lontano.
Tuttavia, il pianeta è così poco luminoso rispetto alla stella che rimane invisible; la presenza del pianeta è dedotta dal fatto che si vede che la stella sta orbitando attorno a un centro di massa. E’ come se su una giostra si vedesse solo il padre e si deduca che, essendo un adulto maturo, deve essere lì col figlio, anche se non si riesce a vederlo.
Dall’analisi delle caratteristiche della velocità radiale è possibile dedurre la massa di questo oggetto e se la massa è inferiore a quella di una stella e confrontabile a quella di un pianeta, allora si ha la prova che si tratta appunto di un pianeta.
Come si misura la velocità radiale
Abbiamo visto come la presenza di un pianeta possa essere dedotta dalla misura della velocità radiale della sua stella. Vediamo ora di fatto come si misura la velocità radiale.
Per misurare la velocità radiale di una stella si sfrutta l’effetto Doppler. L’effetto Doppler è noto nella quotidianità nel caso delle onde acustiche. L'esempio più comprensibile di effetto Doppler è quello offerto dalle sirene. Quando la sorgente sonora (ad esempio l'ambulanza) si avvicina la frequenza del suono aumenta (diventa più acuto), quando si allontana la frequenza del suono diminuisce (diventa più grave).
L'effetto Doppler vale per tutte le onde, comprese le onde elettromagnetiche, e quindi anche per la luce. Quando una sorgente luminosa si avvicina la sua luce aumenta di frequenza e diventa più blu (chiamato blueshift, cioè spostamento verso il blu), quando la sorgente si allontana la sua luce diventa più rossa (chiamato redshift, cioè spostamento verso il rosso).
Quindi ciò che si osserva è un’oscillazione nel colore della stella. Le formule dell’effetto Doppler permettono di trasformare questa variazione di frequenza (quindi di colore) in misura di velocità di allontanamento e avvicinamento e quindi di velocità radiale.
Il metodo delle velocità radiali è potente, ma molto dispendioso in termini di tempo. Tranne casi in cui sia possibile osservare contemporaneamente più stelle (si parla di spettroscopia multi-fibra) nella maggioranza dei casi l’osservazione avviene stella per stella.
L’affidabilità di questo metodo fa sì che quando un pianeta viene scoperto col metodo dei transiti, e quindi viene considerato candidato pianeta, per confermarne la vera natura di pianeta si cerca di osservarlo in modo indipendente con il metodo delle velocità radiali.