Secondo uno studio la NASA potrebbe aver messo fine inavvertitamente alla vita su Marte, ecco come
Secondo un recente studio è possibile che la NASA stia ricercando forme di vita marziana in maniera sbagliata e anche che ne abbia inavvertitamente ucciso alcune.
Marte è tra i pianeti più studiati e più interessanti per la ricerca di potenziali forme di vita extraterrestre. Un tempo su questo pianeta c’erano fiumi, laghi e oceani, aveva un’atmosfera più compatta e un clima mite e piovoso.
Qualcosa poi è cambiato, probabilmente l’assenza di un campo magnetico ha fatto sì che il vento solare, ossia il flusso di particelle cariche emesso dall’alta atmosfera del Sole, ha spazzato via la sua atmosfera e l’ha trasformato, nel corso di miliardi di anni, nel pianeta gelido e arido che conosciamo ora.
Esistono delle zone abbastanza simili a quelle marziane anche sulla Terra, ad esempio il deserto iperarido di Atacama, in sud America, e le Valli Secche dell’Antartide.
In queste regioni si sono riscontrate importanti somiglianze geologiche e ambientali con il pianeta rosso e sono quindi i migliori analoghi disponibili dove portare avanti ricerche pur non recandoci su Marte.
Un nuovo studio punta il dito contro il programma Viking
Secondo un nuovo studio in ambienti così aridi alcune forme di vita possono recuperare l’acqua necessaria alla loro sopravvivenza attraverso dei sali che assorbono l’umidità dell’atmosfera.
Per esempio gli organismi della regione dell’Atacama si sono adattati a questo ambiente ostile per milioni di anni, vivendo in croste saline, sotto rocce traslucide e affrontando lunghi periodi di dormienza.
Si tratta di microrganismi estremofili, ovvero organismi che vivono solo in condizioni estreme, principalmente alofili, ossia quella classe di microrganismi che vivono in condizioni di elevata salinità, e endolitici, che vivono quindi all’interno delle rocce e proprio dall’interno di queste sono in grado di acquisire le risorse necessarie per la propria crescita.
I sali di queste rocce possono essere così igroscopici, ovvero capaci di assorbire l’acqua presente nell’atmosfera, da portare alla deliquescenza e alla formazione di salamoie sature di cloruro di sodio, nelle quali molti organismi sono in grado di crescere e riprodursi.
Tuttavia, i microrganismi che traggono minuscole quantità di umidità attraverso questo processo possono tollerare solo una quantità limitata di acqua prima di iperidratarsi e morire per shock osmotico.
Nel 1976 la NASA inviò su Marte due lander Viking e al tempo non si conosceva molto delle condizioni ambientali di questo pianeta. Il programma Viking prevedeva 3 esperimenti biologici per rilevare eventuali forme di vita, che ovviamente furono progettati basandosi su metodi di coltura utilizzati ai tempi nei laboratori terrestri e prevedevano l’aggiunta di acqua e nutrienti a campioni di suolo, per poi osservare eventuali cambiamenti di crescita, metabolismo o riproduzione.
Gli esperimenti erano: l’Esperimento di Scambio Gassoso (GEX), l’esperimento a Rilascio Contrassegnato (LR) e l’esperimento a Rilascio Pirolitico (PR).
Proprio durante il primo esperimento, nel GEX, era prevista l’aggiunta di umidità a un campione di suolo marziano, seguita da una soluzione nutritiva contenente amminoacidi. Furono poi osservati dei cambiamenti nella composizione gassosa, ma i risultati furono attribuiti a reazioni chimiche e non biologiche.
Nell’esperimento LR invece fu aggiunto un brodo nutritivo etichettato con carbonio-14 (14C) a un campione di suolo per rilevare l’eventuale presenza di microrganismi metabolizzanti, tuttavia i risultati furono inconcludenti.
Infine l’esperimento PR tentò di rilevare forme di vita senza aggiungere acqua o nutrienti ma i risultati furono ambigui.
In tutto ciò i due lander portavano in dotazione uno spettrometro di massa a gascromatografia (GC-MS) per rilevare la presenza di composti organici, ai tempi considerati una prerogativa universale della vita. Anche i risultati di questo strumento non furono soddisfacenti, infatti rilevò quantità minime di composti clorurati che però furono interpretati come contaminanti terrestri.
Risultati negativi che forse nascondono altro
Inizialmente quindi i risultati del programma Viking furono interpretati come negativi per la vita, anche se successive analisi suggerirono che il GC-MS potesse non essere sensibile a rilevare composti organici marziani a causa della presenza di perclorati nel suolo che avrebbero potuto ossidare i composti organici in anidride carbonica.
Con le conoscenze che abbiamo ai giorni nostri risulta plausibile che l’aggiunta di umidità e nutrienti al suolo iperarido marziano possa aver ucciso eventuali microrganismi simili a quelli del deserto di Atacama.
Questo nuovo studio suggerisce quindi di modificare la strategia tradizionale della NASA per la ricerca di forme di vita su Marte, andando a ricercare eventuali composti idratati igroscopici, come i sali, invece che ricercando acqua liquida.
Riferimenti allo studio:
Schulze-Makuch, D. We may be looking for Martian life in the wrong place. Nat Astron 8, 1208–1210 (2024). https://doi.org/10.1038/s41550-024-02381-x