Le ondate di calore marine sono sempre più frequenti: cosa sono?
Le ondate di calore associate ai cambiamenti climatici non si verificano solo nell'aria, ma anche sulla superficie dell'oceano. Le cosiddette ondate di calore marine, in cui l'acqua superficiale presenta anomalie di temperatura positive di diversi gradi, sono in aumento in ampiezza e frequenza.
I riferimenti alle ondate di calore legate al cambiamento climatico sono molto numerosi, sia nell'abbondante bibliografia sull'argomento, sia nell'infinità di informazioni pubblicate da decenni sulla stampa. Questi eventi atmosferici si riferiscono a periodi di diversi giorni (a volte settimane) in cui le temperature sono significativamente più alte del normale per il periodo dell'anno e la regione in cui si verificano. Negli ultimi anni il concetto di ondata di caldo si è diffuso anche nell'ambiente marino.
Lo strato superficiale dei mari e degli oceani si sta riscaldando, parallelamente all'aria che scorre su di esso. Su scala globale il riscaldamento della superficie oceanica è un fatto provato, con importanti differenze fra regioni. A parte questo - e analogamente a quanto accade nella troposfera - di tanto in tanto si formano gigantesche aree dove l'acqua (superficiale) sperimenta anomalie di temperatura positive molto prominenti, fino a +5 e +6ºC in alcuni casi studiati, che ha conseguenze importanti, sia negli ecosistemi marini che nel comportamento atmosferico stesso.
Le ondate di calore marine sono in aumento
Sebbene lo studio dettagliato delle ondate di calore marine sia recente, sono già disponibili informazioni sufficienti per stabilire tendenze nel loro comportamento, per conoscere alcuni indizi sulla loro formazione e sugli impatti che causano. Questi eventi, la cui persistenza può variare da poche settimane a diversi mesi, sono sempre più duraturi e si registra anche un aumento della loro frequenza.
Prendendo come riferimento le registrazioni delle anomalie della temperatura superficiale dell'acqua (SST) per tutti i mari e gli oceani terrestri nel 2019, si ottiene una media di 55 giorni (su 365) con temperature insolitamente calde per ogni elemento della superficie considerato.
Se confrontiamo il periodo 1925-1954 con il periodo 1987-2016, il numero annuo di giornate con ondate di calore marine, è aumentato del 50% in media per l'intera superficie oceanica. Questa circostanza ha logicamente le sue conseguenze. Nel 2018, sulla rivista Nature Communications è stato pubblicato uno studio sulle suddette ondate di calore marine e sui rischi emergenti associati al loro aumento. Gli autori - i ricercatori T. Frölicher e C. Laufkötter - hanno concluso che questi eventi hanno la capacità di alterare interi ecosistemi (come le barriere coralline) e mettere a rischio alcune delle grandi attività di pesca, ad esempio, nei prossimi decenni.
Per quanto riguarda le cause per cui si formano queste enormi "piscine" d'acqua con diversi gradi di temperatura sopra la media, gli autori sopra citati riconoscono che le attuali conoscenze sono ancora limitate.
Per quanto riguarda l'impatto che hanno, alcune delle ondate di calore marine studiate sembrano indurre cambiamenti nelle tendenze meteorologiche, alterando la circolazione atmosferica su scala regionale, con ripercussioni sulle aree continentali limitrofe. La proliferazione di alghe e altre specie invasive è un altro fatto verificato legato a queste ondate di caldo. Guardando al futuro, gli ecosistemi marini più vulnerabili si trovano nel Pacifico sud-occidentale e nell'Australia sud-orientale.
Alcuni casi di studio
Sebbene le ondate di calore marine siano state osservate in tutti i bacini oceanici, solo pochi episodi sono stati documentati e analizzati in modo esaustivo. A parte quello verificatosi nel Pacifico nord-orientale nell'estate del 2019, sono indicati nella figura qui sotto. Prendendo come periodo di riferimento il 1982-2016, uno dei primi casi studiati è stato quello che si è verificato nel Mediterraneo nord-occidentale nel 2003 (l'anno della storica ondata di caldo che si è verificata in tutta l'Europa, in estate). Le acque superficiali hanno raggiunto temperature tra i 3 ed i 5 ºC superiori alla media, per circa un mese.
Un altro episodio degno di nota che è stato studiato è quello della costa occidentale dell'Australia nel 2011. L'entità del riscaldamento delle acque superficiali è stata simile a quella dell'ondata di caldo marino del 2003 nel Mediterraneo. L'anomalia in questo caso è durata per 10 settimane (quasi 3 mesi!). L'evento di La Niña che si è verificato in quel momento ha contribuito a questo fenomeno.
Se c'è una regione oceanica che si distingue per l'ampiezza e la frequenza delle sue ondate di calore marino, quella è il Pacifico nord-orientale, con diversi episodi ben documentati tra il 2013 e il 2019. Il più grande di tutti si è verificato tra il 2013 e il 2015, è stato battezzato come The Blob ("La goccia") e in esso sono state raggiunte anomalie di temperatura di +6 ºC. Il suo impatto su varie specie marine, oltre che sugli uccelli, è stato molto grande.
Riscaldamento oceanico, le categorie di intensità
Per aiutare a caratterizzare l'entità delle diverse ondate di calore marine, un gruppo di lavoro internazionale ha istituito nel 2018 un sistema di nomenclatura ed una classificazione per categorie -da I a IV- in base all'intervallo raggiunto dalle anomalie positive di temperatura. La categoria I è assegnata agli eventi moderati, da II a forte, da III a grave e da IV a estremi. La loro caratterizzazione si completa con altri aspetti, come la maggiore o minore velocità con cui iniziano, nonché la loro durata. Tutto ciò consente di effettuare un'analisi comparata delle diverse ondate di calore marine sulla base di criteri comuni ed omogenei.
Come abbiamo sottolineato all'inizio, la tendenza osservata punta ad un aumento della frequenza e dell'intensità delle ondate di calore marine. Nel 2019 il 41% della superficie oceanica ha avuto un evento classificato come forte (categoria II), mentre nel 29% della superficie oceanica non è stato registrato un evento maggiore di moderato. Un altro fatto rivelatore è che quell'anno almeno una di queste ondate di calore marine è stata sperimentata nell'84% della superficie dei mari e degli oceani. Come sta accadendo con le ondate di calore atmosferico, anche quelle marine stanno aumentando e con loro aumenteranno anche gli effetti negativi.