Il sorprendente aspetto del disco della stella Vega nelle bellissime immagini di Hubble e James Webb

Le osservazioni coordinate dei due big dello spazio, i telescopi Hubble e James Webb, hanno svelato caratteristiche inaspettate del disco della stella Vega, aprendo nuovi interrogativi sulla nascita dei pianeti.

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Immagine composta del disco di Vega rispettivamente presa con Hubble (parte superiore) e James Webb (parte inferiore). La stella Vega al centro dell'immagine è stata oscurata da uno strumento chiamato coronografo per rendere visibile il disco. Credit: NASA, ESA, CSA, STScI, S. Wolff (University of Arizona), K. Su (University of Arizona), A. Gáspár (University of Arizona)

La stella Vega possiede un disco, ma sorprendentemente diverso dai dischi delle altre stelle. Lo ha rivelato uno studio coordinato tra due team di scienziati che hanno sfruttato le capacità dei telescopi Hubble e James Webb.

Che la varietà di dischi protostellari fosse grande lo sapevamo già. In un nostro articolo dello scorso Marzo, avevamo parlato delle innumerevoli forme dei dischi protoplanetari, immortalate dai telescopi dell’ESO, in un mosaico di bellezza.

Le osservazioni di Vega rivelano che altre tipologie vanno aggiunte a quelle già note. Ma nel caso di Vega con una grande differenza, il disco c’è ma di pianeti nessuna traccia. Per capire la sorpresa degli astronomi iniziamo col conoscere le caratteristiche della stella Vega.

Conosciamo la stella Vega

Nella costellazione della Lira (lo strumento musicale a corda diffuso nella cultura greca) splende la stella Vega. E’ la stella più brillante della costellazione (per questo è stata classificata con il nome di alfa Lyrae nella nomenclatura di Flamsteed), ed è, dopo il Sole naturalmente, la quinta più brillante della sfera celeste (dopo Sirio, Canopo, Arturo, e Alfa Centauri A).

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Immagine del disco ottenuta nel visibile dal telescopio Hubble. La polvere del disco delle dimensioni di particelle di fumo riflette la luce della stella (oscurata al centro dal coronografo). Credit: NASA, ESA, STScI, S. Wolff (University of Arizona)

Vega è una giovane stella bianca con un’età di circa 450 milioni di anni e una temperatura superficiale intorno ai 9.500 gradi Celsius. Ma Vega è anche una delle stelle più vicine, ad appena 25 anni luce dalla Terra.

La sua relativa vicinanza ha suscitato l’interesse non solo degli astronomi, ma anche di scrittori e fumettisti. Tra i miei coetanei (ancora bambini negli anni ‘70), chi non ricorda Vega nel cartone animato Goldrake UFO Robot, o per parlare di filmografia, il film “Contact” del 1997 con Jodie Foster.

Il disco di Vega

Tornando però all’astronomia, risale ai primi anni ‘80 dello scorso secolo il sospetto che Vega potesse avere qualcosa simile ad un disco o un guscio, a motivo dell’elevato livello di emissione infrarossa misurato dal satellite IRAS (infrared Astronomical Satellite) della Nasa.

I dischi protostellari, o comunque ciò che costituisce l’ambiente circumstellare, avendo temperature molto più basse di quelle superficiali della stella, emettono prevalentemente luce infrarossa. Pertanto, la misura di quello che viene chiamato “un eccesso infrarosso" è spesso indicativo della presenza di un disco stellare.

Tuttavia, solo nel 2005 il satellite Spitzer riuscì per primo ad osservare il disco di Vega, confermandone appunto l’esistenza. Negli anni successivi, altri telescopi hanno osservato questo disco, il telescopio ALMA dell’ESO (European Southern Observatory), l’Hershel Space Telescope dell ‘ESA (European Space Agency).

Ma mai come ora, grazie ai telescopi Hubble e James Webb, il disco di Vega era stato osservato con tale dettaglio.

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Immagine del disco ottenuta nell'infrarosso da James Webb. La componente del disco costituita di polvere della dimensione di granelli di sabbia emette una fioca luminosità a causa della sua bassa temperatura. Credit: NASA, ESA, CSA, STScI, S. Wolff (University of Arizona), K. Su (University of Arizona), A. Gáspár (University of Arizona)

Le osservazioni da parte dei due telescopi spaziali erano state programmate e coordinate da due diversi team che hanno presentato i risultati della loro ricerca in due articoli, per la rivista Astrophysical Journal, rispettivamente basati sulle osservazioni dei due telescopi.

Cosa ha di diverso dagli altri dischi

Per descrivere questo disco, le parole di Andras GàSpàr, uno degli autori dello studio sono state: “Il disco di Vega è liscio, ridicolmente liscio."

Infatti, come si può vedere nella foto di sopra, il disco di Vega non presenta alcuna struttura, è assolutamente liscio.

La stella Vega rivolge all’osservatore il suo polo, pertanto il disco che è equatoriale viene osservato “di faccia”, quindi in tutta la sua interezza. Configurazione opposta è quella “di taglio” simile a quella con cui osserviamo gli anelli di Saturno.

I pianeti sappiamo si formano all’interno del disco, per questo chiamato protostellare. Si formano dal condensamento di frazioni del disco (i pianeti gassosi) o dall’accrezione di rocce in planetesimi e poi pianeti rocciosi. La formazione e presenza di un pianeta crea delle vere e proprie tracce nel disco, regioni in cui mancano gas e polvere (i cosiddetti gap), inoltre esercitano la propria attrazione gravitazionale modellando la forma del disco ad esempio in spirali.

Nulla di tutto questo si osserva nel disco di Vega.

Considerando che la formazione dei pianeti avviene entro i primi 10-20 milioni di anni, e che Vega ha 450 milioni, ne segue che se non ci sono pianeti è perché non se ne sono formati e non se ne formeranno più.

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Esempio di disco protoplanetario in cui la presenza di gaps, cioè i solchi scuri (perchè poveri di polveri e gas) suggerisce la presenza di esopianeti. Credit: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO); A. Isella; B. Saxton (NRAO/AUI/NSF)]

Proprio la mancanza di pianeti rende “intrigante” questo disco e apre nuove domande. Perché, pur sembrando avere tutti i requisiti, questo disco non ha formato pianeti?

Le osservazioni finora raccolte mostrano come la presenza di dischi e di pianeti sia la normalità per le stelle e non l’eccezione.

Quando si pensa di aver capito un meccanismo fisico, in questo caso quello di innesco nella formazione dei pianeti, nuove osservazioni mostrano che la comprensione in effetti non è completa, c’è altro ancora da capire, “costringendo” un ulteriore sforzo per una più esatta comprensione della Natura. Anche questo è il bello dell’Astronomia, ma anche di tutta la Scienza.