La formazione di pianeti nell'Universo primordiale era garantita da dischi protoplanetari molto più longevi del previsto
Uno studio, condotto nella Piccola Nube di Magellano col James Webb, svela come nell’Universo primordiale la formazione di pianeti gassosi, costituiti dei soli due elementi esistenti, idrogeno ed elio, è stata garantita da una particolare longevità dei dischi protoplanetari.
Che il telescopio Hubble sia un "grande" telescopio e che le sue osservazioni siano affidabili ce lo dimostra anche il telescopio James Webb. Le osservazioni recenti di quest'ultimo nella Piccola Nube di Magellano confermano quanto osservato da Hubble oltre 20 anni fa e aiutano a spiegarne un'apparente contraddizione.
Stiamo parlando di pianeti primordiali che esistono, li ha visti Hubble, ma, secondo i modelli attuali di formazione ed evoluzione dei pianeti, non dovrebbero esistere!
Cosa sono i dischi protoplanetari
Sappiamo che la formazione dei pianeti avviene all’interno dei dischi di polveri e gas che circondano le giovani stelle. Proprio per questo loro ruolo nella formazione dei pianeti vengono chiamati “dischi protoplanetari”.
I dischi protoplanetari sono il residuo del processo di formazione di una stella. Nel processo di collasso di un frammento di nube molecolare, che alla fine porta alla nascita della stella, gas e polveri del disco via via precipitano sulla stella accrescendone ulteriormente la massa. Sotto questa prospettiva i dischi vengono chiamati “dischi di accrescimento”.
Questo significa che stelle primordiali, formatesi quando erano presenti solo idrogeno ed elio, avevano dischi protoplanetari anch'essi costituiti di idrogeno ed elio, privi del tutto o poveri di elementi più pesanti.
Gli elementi più pesanti si sono formati successivamente all’interno delle stelle che poi, esplodendo come supernovae, li hanno espulsi arricchendo il mezzo interstellare, da cui sarebbero nate nuove generazioni di stelle.
Teorie sulla formazione dei pianeti da rivedere
Fino ad oggi, gli astronomi credevano che i dischi protoplanetari primordiali, quindi privi o poveri di elementi pesanti, avessero una vita molto breve. Infatti, la radiazione emessa dalla giovane stella era in grado di soffiarli via in 2-3 milioni di anni.
Tuttavia, nel 2003 il telescopio Hubble aveva osservato una stella primordiale con un suo pianeta gassoso. Questa scoperta aveva suscitato grande meraviglia nella comunità scientifica. Ci si chiedeva come un pianeta gassoso avesse avuto il tempo di formarsi all’interno di un disco protoplanetario che, tuttavia, essendo privo di elementi pesanti (essendo primordiale), sarebbe dovuto essere stato soffiato via rapidamente, non dando al pianeta il tempo per formarsi.
Questa contraddizione tra le osservazioni e i modelli di formazione dei pianeti è stata recentemente risolta grazie alle osservazioni del telescopio James Webb.
Vicino alla nostra Galassia, esiste una galassia satellite, la Piccola Nube di Magellano, la quale, pur essendo relativamente giovane (circa 1 miliardo di anni), è caratterizzata da una notevole scarsità di elementi pesanti.
Per questo motivo, la Piccola Nube di Magellano in qualche modo permette di studiare la formazione dei pianeti in un ambiente povero di elementi pesanti e quindi molto simile agli ambienti primordiali.
Un team di ricercatori a guida dell’astronomo Guido De Marchi del Centro Europeo di Ricerca e Tecnologia Spaziale di Noordwijk, Paesi Bassi, ha osservato un ammasso stellare, l’ammasso NGC 346, all’interno della Piccola Nube di Magellano. All’interno di questo ammasso è in corso un processo di formazione stellare, è ricco di stelle con dischi protoplanetari (alcuni di questi marcati con un cerchietto nell'immagine di copertina), con la particolarità di essere questi poveri di elementi pesanti, situazione simile a quella primordiale.
Cosa ha osservato il telescopio James Webb
Con sorpresa hanno scoperto stelle con dischi di 20-30 milioni di anni i quali, pur essendo formati da idrogeno e elio, sono ancora lì, cioè non sono stati soffiati via, come invece previsto dai modelli di formazione ed evoluzione dei dischi.
Vengono ipotizzati due diverse possibilità (o anche una loro combinazione) per spiegare l’esistenza di dischi così longevi.
Una prima possibilità è che l’ammasso osservato (NGC 346) abbia delle sue peculiarità per cui la pressione della radiazione stellare non riesce rapidamente a soffiare il disco della stella.
Altra possibilità è che quando gli elementi pesanti scarseggiano, la stella si debba formare da frammenti molto più grossi della nube molecolare. Questo comporterebbe una maggiore massa iniziale del disco e quindi un tempo più lungo per disperderlo, circa 10 volte più lungo di quello osservato all’interno della nostra Galassia.
Tempi più lungi per la formazione di pianeti potrebbero avere un impatto, tutto da esplorare, sulla formazione dei singoli pianeti, come anche sull’architettura di un sistema planetario.
Sicuramente, queste nuove evidenze osservative aiuteranno a capire meglio il processo di formazione dei pianeti e a migliorare i modelli che lo descrivono.