Importante conferma osservativa della teoria sulla formazione degli esopianeti gassosi
Nel disco della giovanissima stella AB Aurigae con il telescopio ALMA sono state osservate le “onde di velocità” previste dalle simulazioni teoriche. Questa scoperta supporta fortemente la correttezza della teoria sulla formazione degli esopianeti gassosi.
Gli astronomi ritengono che esistano due diversi meccanismi di formazione dei pianeti. Un meccanismo porta alla formazione di pianeti rocciosi, simili a quelli del Sistema Solare, cioè Mercurio, Venere, Terra e Marte. Un secondo meccanismo porta alla formazione dei pianeti gassosi, simili a Giove e Saturno.
Due sono i meccanismi con cui il materiale residuo può dar origine ai pianeti.
La nascita dei pianeti rocciosi
All’interno del disco, i grani di polvere possono urtarsi e unirsi formando grani più grandi. Questo processo, chiamato di "accrezione", può continuare formando micro rocce e poi via via oggetti sempre più grandi, i cosiddetti planetesimi, fino alla formazione di oggetti di dimensione planetaria. Si passa gradualmente da oggetti dell’ordine dei micron a oggetti del diametro di migliaia di chilometri.
Questo meccanismo tuttavia può agire anche al contrario, cioè l’urto di planetesimi, invece di produrre oggetti più grossi, li disintegra nuovamente in frammenti più piccoli che poi contribuiranno a costituire quello che viene chiamato debris disk o disco di frammenti, analogo alla fascia di Kuiper del Sistema Solare.
La nascita dei pianeti gassosi
Il meccanismo che porta alla formazione di pianeti gassosi è, su piccola scala, simile al meccanismo che porta alla formazione della stella. Cioè, a causa di instabilità gravitazionali, all’interno del disco si innesca un processo di collasso gravitazionale localizzato che porta alla formazione di addensamenti. Questi riescono col tempo ad attirare a se gravitazionalmente altro gas formando così un oggetto gassoso sempre più grosso fino a farne un pianeta gassoso.
Il processo di formazione richiede tempo, maggiore per il pianeti rocciosi che per quelli gassosi.
Quand'è che il pianeta diventa visibile
Osservare con i telescopi la nascita di un esopianeta è compito arduo. Infatti, il pianeta si forma gradualmente all’interno del disco, cioè in un ambiente oltremodo ricco di polveri che ne oscurano la vista. Quando si riesce a scovare un pianeta, ci si riesce poiché questo è già sufficientemente luminoso da emergere dalla coltre di polveri che lo avvolge.
Questo significa che i meccanismi proposti dagli astronomi per spiegare la formazione di un pianeta, sia esso roccioso o gassoso, sono ipotesi di ricerca.
Si tratta di ipotesi formulate sulla base di numerosi indizi osservativi.
La comprensione del processo di formazione di un esopianeta avviene attraverso un processo iterativo di osservazioni e della loro modellizzazione: le osservazioni suggeriscono un possibile modello teorico, il modello teorico suggerisce quale tipo di osservazione potrebbero confermarlo, e così via verso una migliore comprensione.
Proprio per questo motivo, le recenti osservazioni rappresentano quasi una pietra miliare nella comprensione della formazione dei pianeti gassosi.
Le recenti osservazioni con ALMA
Come si diceva, la formazione di un pianeta gassoso si innesca a seguito di un’instabilità gravitazionale. Ciò che il team guidato da Jessica Speedie, del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Vittoria (Canada) ha osservato per la prima volta è proprio la presenza all’interno di un disco protoplanetario delle condizioni giuste per l’innesco di queste instabilità.
In parole povere, l’instabilità gravitazionale che porta alla formazione dei pianeti gassosi prima prevista teoricamente è stata ora osservata.
La sensibilità del telescopio e la sua elevata risoluzione spaziale ha permesso di studiare il gas all’interno dei bracci di spirale del disco (enumerati nell'immagine di copertina).
L’interrogativo che ci si poneva era il seguente: se per formare pianeti con il lento processo di accrezione servono decine di milioni di anni, come fa AB Aurigae a possedere pianeti già dopo 4 milioni di anni di vita.
Ciò implicava che questi si dovessero essere formati con il secondo e più rapido meccanismo, quello dell’instabilità gravitazionale.
Simulazioni al computer, quindi la teoria, avevano mostrato che per esserci instabilità, all’interno delle spirali del disco devono prodursi delle ‘oscillazioni’ (wiggles) di gas che poi innescano l’instabilità.
Le osservazioni di ALMA sono riuscite, mappando il moto del gas all’interno dei bracci, a rivelare l’esistenza di queste oscillazioni, esattamente come previsto dalle simulazioni.
Quando il disco protoplanetario è ben massiccio, variazioni di densità all’interno delle braccia determinano delle onde di gravità che a loro volta producono variazioni di velocità.
Questa ricerca, pubblicata su Nature, supporta fortemente da un punto di vista osservativo, la correttezza (sicuramente da migliorare) del meccanismo finora proposto per la formazione dei pianeti gassosi.
Riferimenti della ricerca
"Gravitational instability in a planet-forming disk" by J. Speedie et al. Nature, 633, 58 (2024)