Spazio, il telescopio James Webb ha appena risolto il mistero che circondava l'ammasso di galassie della Fenice

Il telescopio James Webb riesce a “vedere” ciò che c’era sempre stato ma che, non essendo finora visibile, aveva alimentato un mistero decennale sulla formazione stellare nell’ammasso della Fenice.

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Immagine del nucleo dell'ammasso di galassie Phoenix. L'immagine si compone delle immagini del telescopio Hubble, di Chandra e del radio telescopio VLA. Credit: NASA, CXC, NRAO, ESA, Michael McDonald (MIT) Image Processing Joseph DePasquale (STScI)

A volte la soluzione di un mistero è più semplice di quanto si possa immaginare. E’ bastato osservare con lo strumento giusto per scoprire ciò che c’era ma che per motivi strumentali non si vedeva.

E’ il caso dell’ammasso di galassie Fenice (Phoenix) il cui elevatissimo tasso di formazione stellare non si conciliava con l’elevatissima temperatura del gas in esso contenuto. Per giustificare la nascita di tante stelle serviva che questo gas si raffreddasse e, in effetti, gas freddo ce n’era in abbondanza ma, nessun telescopio era riuscito a osservarlo. James Webb ha fatto, come tante altre volte, la differenza.

Phoenix: un superammasso di galassie

Così come le stelle sono tra loro legate da reciproche forze di gravità all’interno di una stessa galassia, similmente le galassie sono legate da reciproche forze di gravità all’interno di uno stesso ammasso di galassie.

Ad esempio, la nostra Galassia, la Via Lattea, non è isolata nell’Universo ma fa parte di un ammasso di galassie, chiamato Ammasso Locale, nel quale essa è legata gravitazionalmente ad altre galassie quali, ad esempio, la galassia di Andromeda, o le Nubi di Magellano.

Di ammassi di galassie ne esistono di tutte le dimensioni. All’estremità superiore si collocano quelli che vengono chiamati superammassi, in quanto costituiti da miliardi di galassie, ciascuna costituita da miliardi di stelle.

Il superammasso della Fenice (il Phoenix galaxy supercluster) è uno dei più massicci ad oggi noti e la sua scoperta risale al 2010. Si trova in direzione dell’omonima costellazione della Fenice (costellazione visibile nell'emisfero australe) ad una distanza dalla Terra di circa 5.8 miliardi di anni luce.

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Immagine X ed ottica dell'ammasso Phoenix come osservato dal telescopio Chandra e Hubble. Credit: X-ray: NASA/CXC/MIT/M.McDonald et al; Optical: NASA/STScI -

La presenza nei nuclei di questi ammassi massicci di buchi neri è generalmente la normalità e la presenza di questi rappresenta un ostacolo alla formazione di stelle all’interno di questi ammassi. Infatti, il disco di materia che circonda il buco nero emette radiazione di alta energia che riscalda il gas circostante, rendendolo molto movimentato, condizione di ostacolo al suo collasso, necessario alla nascita delle stelle.

Affinché una nube di gas possa collassare innescando un processo di formazione stellare, è necessario che il suo gas sia freddo, in modo che la forza di gravità (collassante) possa prevalere sull’energia cinetica che invece tende a disperdere il gas.

Sin dalla sua scoperta, il super-ammasso della Fenice ha colpito l’attenzione degli astronomi per una sua peculiarità.

Nonostante la presenza di gas caldissimo (riscaldato dalla presenza del buco nero stimato di circa 10 miliardi di masse solari), in questo ammasso è in corso uno dei più intensi processi di formazione stellare. Si tratta di una circostanza esattamente opposta a quella che ci si sarebbe aspettati di osservare!

L'elevato tasso di formazione stellare implica abbondanza di gas freddo, mentre se ne osservata solo di caldissimo.

Da James Webb la soluzione al mistero

Le numerose osservazioni precedentemente effettuate con il telescopio spaziale Chandra, specializzato nell’osservazione della radiazione X, avevano svelato sia la presenza del gas caldo, caldo fino ai 18 milioni di gradi Kelvin, ma nello stesso tempo anche la radiazione X emessa dalle neo stelle, che ne attestata l'elevata attività di formazione.

Anche la presenza di gas freddo era stata rilevata ma mancava all’appello la più grossa frazione di gas in fase di raffreddamento.

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Immagine del nucleo dell'ammasso di Galassie Phoenix. In rosso i jets di plasma caldo che riscaldano il gas circostante evidenziato dalla linea tratteggiata di colore porpora osservato dal telescopio Chandra. Invece, con il tratteggio verde il gas in raffreddamento scoperto da James Webb. Credit: NASA, CXC, NRAO, ESA, Michael McDonald (MIT), Michael Reefe (MIT); Joseph Olmsted (STScI)

Ma anche le osservazioni del telescopio spaziale Hubble avevano rivelato la radiazione ultravioletta sia del gas caldo ma nello stesso tempo anche prodotta dalla formazione delle stelle, come anche il radio telescopio Very Large Array avevano attestato l’impressionante processo di formazione stellare all’interno dell’ammasso.

Maggiore è la temperatura di un corpo, minore è la lunghezza d’onda della radiazione da questo emessa. Il gas a temperature di milioni di gradi ha un picco di emissione nella banda X dello spettro elettromagnetico.

Un vero puzzle! Gas caldissimo che forma stelle come mai altrove. Il mistero è stato svelato proprio dal telescopio James Webb grazie alla sua sensibilità alla radiazione infrarossa.

Il mistero nasceva non dall’assenza di gas freddo, piuttosto nell’incapacità strumentale di riuscire ad osservarlo.

Proprio le osservazioni di James Webb nel nucleo dell’ammasso hanno svelato la presenza di tutto quel gas in fase di raffreddamento (già raffreddato dai milioni di gradi a poche migliaia di gradi) che poi, per ultimo, dà innesco alla formazione stellare.

Le osservazioni di James Webb hanno permesso di ottenere una spettroscopia bidimensionale del nucleo dell’ammasso grazie allo strumento MIRI.

In particolare, la rivelazione degli atomi di neon, particolarmente brillante nell’infrarosso, hanno permesso di osservare il gas di raffreddamento alle temperature intermedie di circa mezzo milione di gradi.

Come dire, il mistero è durato 10 anni solo perché ciò che doveva esserci (il gas in fase di raffreddamento) c’era sempre stato ma non lo si riusciva a vedere!

Riferimenti allo studio:

Directly imaging the cooling flow in the Phoenix cluster Nature volume 638, pages360–364 (2025)