Esplosioni di supernova, cosa sono e cosa ha visto il telescopio James Webb
Sono numerosi gli oggetti astronomici di bellezza spettacolare, ma alcuni lo sono più di altri. Anche per questo, tutte le volte che si costruisce un nuovo telescopio dotato di nuova strumentazione, si torna a riosservarli. E’ il caso della Nebulosa del Granchio, il resto di una supernova recentemente riosservata con il telescopio spaziale James Webb.
Il fenomeno dell'esplosione di supernova è tra i più interessanti fenomeni astronomici. Esso, per utilizzare un concetto caro alla cultura cristiana, è in qualche modo alfa e omega, principio e fine. Se da un canto, la supernova rappresenta la fine di una stella, d'altro canto può dare l'innesco alla nascita di altre stelle e arricchire il mezzo interstellare di gas e polveri.
La supernova é il destino delle stelle massicce
Tutte le stelle durante la loro vita subiscono trasformazioni significative, attraversano diverse fasi evolutive, ciascuna più o meno lunga, che iniziano con la nascita per finire con la morte.
La velocità con cui una stella evolve nel tempo dipende essenzialmente dalla sua massa: maggiore è la massa più rapidamente la stella percorre le diverse tappe evolutive. Se stelle come il Sole o più piccole impiegano miliardi di anni per invecchiare e morire, stelle molto massicce letteralmente bruciano le tappe evolutive giungendo a morte in tempi dell’ordine di decine di milioni anni.
Le stelle massicce (parliamo di stelle con massa almeno 8-10 volte superiore a quella del Sole) non solo hanno vita breve ma vanno incontro a morte violenta. Infatti, queste concludono la loro evoluzione con un’immensa esplosione, chiamata esplosione di supernova.
Un repentino collasso verso il nucleo degli strati esterni della stella determina una produzione di energia così rapida ed intensa da far esplodere la stella.
Durante l'esplosione di supernova gli strati esterni della stella vengono espulsi a velocità supersoniche nello spazio circostante; invece, gli strati interni collassano formando una stella di neutroni.
In seguito all'esplosione di supernova ciò che rimane si chiama appunto "resto di supernova".
Le stelle di neutroni che si formano in seguito all'esplosione di supernova sono composte di soli neutroni e la solo densità è così elevata che un solo centimetro cubo (equivalente all’incirca alle dimensioni di mezza zolletta di zucchero) pesa circa 100 milioni di tonnellate.
La stella di neutroni che si forma in seguito all’esplosione di supernova ruota in modo estremamente veloce e possiede un intensissimo campo magnetico (tra i più intensi noti nell'universo). Le stelle di neutroni hanno una fortissima emissione radio lungo degli stretti coni che fuoriescono dai poli (come rappresentato nella figura di sopra).
Per questo motivo, inizialmente, prima di conoscerne la vera natura, queste stelle vennero chiamate pulsar, cioè sorgenti radio pulsanti.
Perché chiamarle Supernove
L’energia liberata durante l’esplosione produce una luminosità tale da rendere visibile l’esplosione a grandissime distanze. Con i telescopi riusciamo a vedere supernove anche in galassie lontanissime. Ma non solo. Nel passato, l’esplosione di alcune supernove ha prodotto una luminosità tale da essere visibile da Terra ad occhio nudo e addirittura di giorno.
Nell’antichità, in occasione dell'esplosione di supernova, non sapendo effettivamente di cosa si trattasse, ma vedendo apparire improvvisamente un nuovo punto luminoso in cielo, si pensava si trattasse di una nuova stella, o in latino di una "stella nova", che poi nell’arco di poche settimane tornava a scomparire. Quindi a questi fenomeni veniva dato il nome latino di "novae".
Si è adottato in analogia il termine supernova per indicare un'esplosione di gran lunga più energetica e luminosa. Tuttavia, l’esplosione delle nova è fisicamente diversa da quelle di supernova, anche se entrambe caratterizzate da un temporaneo aumento di luminosità.
Tra i resti di supernova più famosi e spettacolari c'è la nebulosa del Granchio, recentemente osservata dal telescopio spaziale James Webb.
James Webb e la nebulosa del Granchio
Correva l’anno 1054 quando astronomi cinesi e, indipendentemente, astronomi arabi videro apparire in cielo un nuovo oggetto luminoso, appunto quello che loro credevano essere una "stella nova". Le cronache di allora riportano che era così brillante (tanto quanto la luna piena) che rimase visibile durante il giorno per circa un mese, poi continuò ad essere visibile solo di notte nei circa due anni successivi per poi scomparire definitivamente alla vista ad occhio nudo.
Ma ciò che si osservò nel 1054 era un’esplosione di supernova avvenuta circa 6500 anni prima. Infatti, il bagliore dell’esplosione aveva impiegato circa 6500 anni per viaggiare attraverso lo spazio e poi arrivare a Terra.
Con il passare dei secoli, il gas e le polveri espulse durante l’esplosione hanno continuato a viaggiare nello spazio a velocità supersoniche per cui il resto della supernova, cioè quello che oggi noi osserviamo e chiamiamo nebulosa del Granchio, ha cambiato via via sia forma sia dimensioni.
Oggi, questo resto di supernova la le dimensioni di 6 anni luce, corrispondenti a circa 57 mila miliardi di km. Cioè gli strati più esterni di quella che inizialmente era la stella (chiamata stella progenitrice), sono stati proiettati in tutte le direzioni a circa 30 mila miliardi di km dalla stella di neutroni che si è formata al suo centro.
Sono passati poco più di venti anni da quando la Nebulosa del Granchio viene osservata ad alta risoluzione spaziale con i telescopi. Venti anni sono un tempo troppo breve per poter rilevare cambiamento di forma e dimensioni.
Ciò che fanno gli astronomi è utilizzare le informazioni attualmente disponibili per procedere indietro nel tempo e ricavare le proprietà della stella iniziale, o progenitrice della supernova, come si suole chiamarla.
Da Hubble a James Webb
La nebulosa del Granchio era stata già osservata alle lunghezze d’onda del visibile dal telescopio spaziale Hubble circa venti anni fa. Recentemente, è stata riosservata alle lunghezze d’onda dell’infrarosso dal telescopio spaziale James Webb.
Le due immagini a confronto nella figura di sopra mostrano come nelle due diverse bande spettrali la nebulosa abbia la stessa struttura. Infatti, 20 anni sono un tempo brevissimo perché la nebulosa possa essersi trasformata. Tuttavia, l’immagine del James Webb ha mostrato per la rima volta in modo chiarissimo l’emissione di sincrotrone.
Si tratta di radiazione emessa dagli elettroni che a velocità elevatissima spiraleggiano attorno alle linee del campo magnetico. La rivelazione di questa emissione ha permesso per la prima volta di scoprire come l'intera nebulosa sia permeata dal campo magnetico generato dalla stella di neutroni.
Così come per le altre immagini ottenute con il telescopio spaziale James Webb, le osservazioni sono state effettuate con 6 filtri diversi e poi combinate insieme con una opportuna scelta dei colori in modo tale da mettere meglio in risalto quei particolari di interesse per gli astronomi.
Nell’immagine di copertina le osservazioni del James Webb rivelano presenza di zolfo ionizzato tracciato con il colore rosso-arancione, ferro ionizzato in blu, polveri in giallo-verde, mentre l’emissione di sincrotrone che mappa il campo magnetico in bianco.