Come si scoprono gli esopianeti? Ecco cos'è il metodo dei transiti
Diversi metodi vengono utilizzati dagli astronomi nella ricerca di esopianeti. Il "metodo dei transiti" è quello di maggiore successo con un bilancio del 75% di esopianeti scoperti. Ma vediamo in cosa consiste e perché è così efficace.
La parola “esopianeta” è ormai entrata nel gergo comune. E pensare che fino al 1995 la loro esistenza era solo ipotizzata! Poi, proprio dal 1995 anno di scoperta del primo esopianeta, chiamato 51 Pegasi b, la prospettiva è cambiata, anzi si è capovolta. Se si riteneva raro che una stella diversa dal Sole avesse un suo pianeta, oggi sembra raro che esistano stelle senza pianeti!
Se gli esopianeti sono diventati ormai familiari nei nostri discorsi e continuano a suscitare meritato interesse tra i non specialisti, minore è la familiarità con i metodi che vengono utilizzati per scoprirli. Ne esistono diversi, ma
con cui cercheremo di familiarizzare.
Partiamo da vicino e da ciò che conosciamo meglio, ovvero il Sole. La sagoma del Sole in cielo, a motivo della sua forma circolare, viene comunemente chiamata disco solare. Il passaggio di un qualunque oggetto davanti al disco solare viene definito “transito”. Un esempio è il famoso, ma raro, transito del pianeta Venere davanti al disco solare del Giugno 2004.
Cosa succede durante un transito
Il transito di un oggetto davanti al Sole copre una frazione di disco per cui la sua luminosità sarà minore per tutta la durata del transito. Ad esempio, il transito di Venere occulta circa 1/30 di disco producendo una diminuzione di luminosità di 1/30 (poco più del 3%). Immaginando di misurare con uno strumento il flusso di luce proveniente dal Sole (la sua "curva di luce"), durante il transito si osserverà una piccola diminuzione di flusso, che viene comunemente detta “eclissi”, e che nel nostro esempio di Venere avrà una profondità di 3 centesimi.
Lo stesso succede, ma più frequentemente, con la Luna. La luna passa apparentemente vicino al Sole mediamente12 volte all'anno. Ciò succede durante la fase di Luna nuova. Durante questa fase la Luna è generalmente o sopra o sotto il Sole e non vi passa davanti. Invece, mediamente due volte all'anno transita davanti al disco solare producendo le eclissi di Sole. Quando la Luna transita davanti al Sole, ne occulta parte del disco (eclissi parziale) o l’intero disco (eclissi totale) per cui la luminosità del Sole risulta minore durante tutto il transito.
Quello che succede nel caso della Luna e dei pianeti interni del Sistema solare (Mercurio e Venere), succede anche per gli esopianeti.
L'eclissi durerà per tutta la durata del transito e la sua profondità dipenderà dalle dimensioni dell'esopianeta rispetto alle dimensioni della stella.
Il “metodo dei transiti” (che potremmo chiamare metodo delle eclissi) consiste nell’osservare una stella e vedere se la sua luminosità ad un certo punto presenta delle piccole eclissi. Se ciò avviene vuol dire che qualcosa è transitato davanti alla stella. Questo qualcosa potrebbe essere un esopianeta che al momento della sua scoperta viene classificato come candidato pianeta.
Per confermare che si tratti effettivamente di un esopianeta si utilizzano altri metodi indipendenti come quello delle “velocità radiali”. Infatti, queste piccole eclissi potrebbero essere prodotte o da altre stelle o da fenomeni che avvengono sulla superficie della stella.
Perché è così efficace
Di tutti gli esopianeti, ben il 75% è stato scoperto proprio col metodo dei transiti, segue il 19% col metodo delle velocità radiali (come riportato sul sito della Nasa in continuo aggiornamento). Ma qual è il segreto per tanto successo?
I telescopi da Terra o dallo Spazio (ad esempio TESS) che cercano esopianeti col metodo dei transiti, sono costruiti in modo tale da osservare simultaneamente una regione di cielo abbastanza estesa che contenga anche migliaia di stelle. Ad esempio, il telescopio spaziale Kepler ha osservato una regione di cielo di circa 10 gradi quadrati contenente circa 100.000 stelle. La futura missione PLATO osserverà una regione di cielo di 49 gradi quadrati contenente milioni di stelle.
Sono proprio questi grandi numeri che aumentano la probabilità di osservare stelle con pianeti e pianeti che abbiano un’orbita tale da transitare davanti al disco della propria stella così da produrre eclissi e quindi permetterne la scoperta.
La stragrande maggioranza di stelle osservate con il metodo dei transiti magari avrà esopianeti, ma questi non verranno scoperti poiché hanno un'orbita inclinata in modo tale che non transitano davanti al disco della propria stella e quindi non producono eclissi.
Ma un transito non basta
Se a transitare davanti al disco della propria stella producendo una piccola eclissi è effettivamente un esopianeta, poiché l'esopianeta ruota attorno alla stella, di transiti ce ne devono essere tutta una serie che si ripete periodicamente.
Per confermare che si tratti di un esopianeta si devono poter osservare più transiti, motivo per cui le osservazioni devono essere quanto più continuative ed estese per settimane, mesi o anni. Se il transito avviene durante il giorno, un telescopio da Terra se lo perde in quanto può osservare solo di notte, mentre quello spaziale, che osserva senza interruzione, lo scopre. Questo aumenta l’efficienza di scoperta da parte dei telescopi spaziali.
Queste eclissi osservate nelle curve di luce però potrebbero essere prodotte anche da altro (i cosiddetti falsi positivi). Se ad esempio sullo sfondo della stella esiste una binaria ad eclisse (cioè una coppia di stelle che ruotando l'una attorno all'altra si eclissano), queste potrebbero produrre un’eclisse simile a quella di un esopianeta. O se sulla stella c’è una macchia fredda molto compatta anche questa produrrà una simile diminuzione di luminosità. Allora, per confermare la natura del pianeta, e quindi individuare i falsi positivi generalmente si utilizza il metodo delle velocità radiali. Questo metodo permette di stimare la massa dell'oggetto che transita e capire se è consistente con quella di un esopianeta.
Ma di questo metodo ne parleremo più in là.