Che succede alle prestazioni cognitive degli astronauti durante la loro permanenza nello spazio?
Sono ormai decenni che astronauti di svariate nazionalità vengono inviati nello spazio e alcuni ci passano davvero lunghi periodi, alcuni anche oltre un anno consecutivo, è normale quindi chiedersi se queste lunghe permanenze possano causare danni alle loro prestazioni cognitive.
Il 12 aprile 1961 Jurij Gagarin, a bordo della Vostok 1, eseguì il primo volo spaziale della storia. Da allora numerosi astronauti, di svariate nazionalità, hanno avuto l’onore di raggiungere lo spazio, chi per poco tempo e altri per lunghi periodi.
Infatti da novembre 2000, quando avvenne l’Expedition1, la prima missione con equipaggio diretto alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), gli astronauti hanno trascorso sempre più tempo nello spazio, pensate infatti che il cosmonauta russo Oleg Dmitrievic Kononenko nel corso di 5 missioni ha trascorso oltre 878 giorni in orbita, ovvero oltre 2 anni.
Gli astronauti passano regolarmente 6 mesi nello spazio
C’è inoltre chi, nel corso di un’unica missione è rimasto nella Stazione Spaziale Internazionale oltre un anno. Si tratta dei 3 astronauti della Expedition 68 che, dopo essere partiti il 21 settembre 2022 per una missione di 6 mesi a bordo della ISS, a causa di problemi tecnici, sono dovuti rimanere sulla stazione per altri 6 mesi tornando sulla Terra solo a settembre 2023.
Inoltre dal 2021 anche sulla Stazione Spaziale Tiangong, la stazione spaziale cinese, avvengono missioni spaziali di lunga durata, ovvero di 6 mesi, così che sempre più persone stanno avendo lunghe permanenze nello spazio.
È normale quindi chiedersi se queste lunghe permanenze nello spazio possano in qualche modo compromettere il funzionamento cognitivo dei cosmonauti. Infatti durante i viaggi spaziali in cui il corpo e in particolare il cervello degli astronauti subiscono gli effetti della radiazione, della gravità alterata, della perdita di sonno e delle condizioni di lavoro a dir poco difficili.
Proprio per rispondere a questa domanda un gruppo di ricercatori degli Stati Uniti ha esaminato i cambiamenti delle prestazioni cognitive di 25 astronauti che hanno trascorso in media 6 mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale. Si tratta del più grande set di dati sulle prestazioni cognitive di astronauti professionisti mai pubblicato.
Nel dettaglio gli astronauti hanno eseguito una serie di test progettati per valutare diverse aree cognitive e per ognuno di questi testi i ricercatori hanno misurato velocità e precisione in cinque differenti momenti: prima della missione, all’inizio del volo, alla fine, 10 giorni dopo l’atterraggio e 30 giorni dopo.
È emerso che i tempi di risposta nei compiti relativi alla velocità di elaborazione, alla memoria di lavoro e all’attenzione erano maggiori durante il volo rispetto a quando stavano sulla Terra, ma non meno precisi.
Inoltre questi cambiamenti presentavano caratteristiche peculiari, ad esempio per quanto riguarda l’attenzione le prestazioni rallentate sono state osservate solo all’inizio della missione, mentre il rallentamento nella velocità di elaborazione è perdurato per tutta la missione ed è tornato ai livelli di base solo una volta tornati sulla Terra.
In pratica quindi gli astronauti nello spazio svolgono alcuni compiti più lentamente ma non mostrano segni di declino cognitivo permanente anzi, nel complesso le prestazioni cognitive sono rimaste stabili e i ricercatori non hanno trovato evidenze di danni al sistema nervoso centrale durante missioni spaziali di sei mesi.
Gli astronauti lavorano più lentamente
Inoltre è emerso che alcune aree cognitive sono più suscettibili rispetto ad altre ma questo avviene anche sulla Terra, ad esempio la velocità di elaborazione, la memoria di lavoro e l’attenzione possono mostrare cambiamenti temporanei anche sul nostro pianeta quando una persona è sotto stress. Altre aree, come ad esempio la memoria, sono meno vulnerabili agli stressori, ovvero agenti o stimoli che causano stress.
Da questa ricerca è emerso che le aree più vulnerabili per gli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale sono le stesse che sono più sensibili anche sulla Terra.
Tuttavia questo studio ha solo valutato se le prestazioni operative degli astronauti abbiano risentito di alcuni cambiamenti senza indagarne le cause. Si tratta quindi solo del primo importante studio in questo senso a cui ne seguiranno altri, anche in vista di future missioni ben più lunghe e distanti.