Cannoni anti grandine: cosa dice la scienza?

I danni da grandine affliggono sempre più l’agricoltura e altri settori. Esistono metodi per evitare le grandinate? Ecco quali sono le evidenze scientifice sull'uso dei cannoni ad onda d'urto.

Un cannone anti grandine ad onda d'urto. Il principio di funzionamento è semplice, un'esplosione provoca un'onda che in teoria dovrebbe influenzare la formazione o caduta della grandine. In realtà, le energie in gioco in un temporale sono enormemente maggiori di quella provocata dallo scoppio di questi dispositivi.

La grandine è un vero flagello per l’agricoltura, in pochi minuti è in grado di compromettere l’intero raccolto annuale. Causa inoltre seri danni in altri settori, danneggiando in particolare le automobili, gli infissi, le coperture e altre strutture. Costituisce poi un pericolo per chi ne viene colto all’aperto.

Da sempre l’uomo ha cercato di difendersi dalla grandine, anche con gesti scaramantici quali suonare le campane, esporre croci o rami d’ulivo o appellandosi alle divinità. La lotta attiva vede da oltre un secolo schierarsi una sorta di artiglieria, con i cosiddetti cannoni anti grandine. Approfondiamo di cosa si tratta per capire se c’è fondamento scientifico.

Cannoni ad onda d’urto: un po’ di storia

Il principio di funzionamento dei canoni anti grandine è semplice. Una forte esplosione, con relativa onda di pressione, avrebbe l’effetto di impedire la formazione del chicco di grandine o di frantumarlo durante la sua caduta.

Appositi cannoni di forma a cono provvedono ad amplificare e diffondere in direzione delle nubi l’onda d’urto provocata dall’esplosione in una camera di combustione di un gas. In passato era usato l’acetilene, mentre attualmente è diffuso l’uso di gas propano o da bombole di GPL.

L’idea non è affatto nuova, fin dal XIX secolo erano in uso cannoni molto simili a quello in foto. Nel 1899 nacque, a Conegliano Veneto, un Consorzio per gli spari contro la grandine. A inizio 1900 si diffusero in altre zone, come la provincia di Cuneo e il nordest. Già allora in convegni scientifici fu messa in serio dubbio la loro efficacia, e probabilmente anche a causa degli scarsi risultati ne fu quasi totalmente abbandonato l’uso.

Il controverso uso dei cannoni

La lotta attiva antigrandine riprese a diffondersi verso gli anni 1970. A fianco del ritorno all’uso dei cannoni, si adottarono anche razzi da sparare direttamente nelle nubi. Questi ultimi furono però presto banditi dall’uso per il loro pericolo, soprattutto per la navigazione aerea.

si adottarono anche razzi da sparare direttamente nelle nubi. Questi ultimi furono però presto banditi dall’uso per il loro pericolo, soprattutto per la navigazione aerea.

I cannoni ad onda d’urto si sono così diffusi nuovamente, a fianco di nuove attività di ricerca sulla loro efficacia, anche unita all’uso di strumenti avanzati quali radar meteo.
Nuovamente la loro diffusione andò declinando, per poi riapparire fra fine anni 1990 e inizio 2000.

Non a caso, le zone di diffusione coincidono con quelle climatologicamente più grandinigene e a vocazione agricola di pregio. Ad esempio il basso Piemonte, le Langhe, il Veneto e il nordest, l’Emilia Romagna.

La diffusione d’uso portò a diversi contenziosi per il fastidio del rumore e lo spavento che provoca agli animali d’allevamento e da cortile. Paradossalmente, una parte dello stesso mondo agricolo poi accusò i cannoni di essere la causa di episodi di siccità.

Curioso un recente episodio, a Puebla, in Messico nel 2018, una casa automobilistica ha adottato i cannoni per difendere le auto nuove in attesa di spedizione in grandi piazzali. I piccoli agricoltori accusano i cannoni di aver provocato una grande siccità, chiedendo alla casa automobolistica 3.7 milioni di dollari di risarcimento.

Alcuni grossi chicchi di grandine. I cannoni ad onda d'urto non sono in grado di distruggerli. Secondo alcuni esperimenti, chicchi di ghiaccio posti a breve distanza dall'imboccatura di un cannone hanno subito solo piccole vibrazioni, senza frantumarsi.

Cosa dice la scienza

Vari convegni scientifici confermano l’inefficacia dei cannoni antigrandine ad onda d'urto, l'effetto della variazione di pressione nella nube è irrilevante.
Negli "Atti dei Seminari" pubblicato nel 1988 dal Servizio Meteorologico Regionale dell’Emilia Romagna si sottolinea che i cannoni detonanti incarnano un'idea vecchia di un secolo, che a suo tempo tramontò per evidente inefficacia.

I dati sperimentali poi parlano chiaro. Secondo misure eseguite dall'Ecole Nationale Supérieure d'Arts et Métiers di Parigi l'onda di pressione generata da un cannone anti grandine è, a 40 metri , circa 3-4 hPa, 0,13 hPa a 1.000 metri e soli 0,033 hPa a 4.000 metri. Sono variazioni di pressione troppo piccole per influenzare la dinamica di una nube o per frantumare chicchi di ghiaccio.

Ricordiamo poi che in un temporale sono in gioco livelli di energia (nota come CAPE, energia convettiva disponibile, usato anche come indice previsionali) molto elevati. In teoria, solo un ordigno di potenza enorme, come una bomba atomica, potrebbe modificare o spostare un temporale.


Il microfisico delle nubi Charles Knight, dell’NCAR di Boulder, in Colorado, ha dichiarato nel 2008 che “non trovo nessuno nella comunità scientifica che possa convalidare i cannoni grandine, ma ci sono credenti in ogni sorta di cose”.

Altri metodi di lotta anti grandine

Esistono altri metodi attivi di lotta antigrandine, come l’inseminazione di nubi con sali igroscopici quali lo ioduro d’argento. Sono metodi ancora oggetto di sperimentazione, ma di cui non è stata provata la reale efficacia. Sono inoltre metodi controversi, per le implicazioni ambientali, costosi e complessi.

Gli unici metodi dunque restano quelli passivi: reti antigrandine, diversificazioni della produzione, assicurazioni, nonchè l'uso delle previsioni meteo e consultando radar e satelliti.