Vortice polare molto freddo e compatto, inverno ormai compromesso?
Ecco tutte le conseguenze di un vortice polare stratosferico che rimane molto freddo e compatto: inverno ormai compromesso in Italia (e non solo).
Salvo qualche rapida irruzione fredda e qualche evento nevoso a bassa quota, l’inverno quest’anno è stato veramente deludente. Colpa del ricompattamento del vortice polare stratosferico in sede artica, che ha comportato una intensificazione delle umide correnti zonali alle medio-alte latitudini.
Cos’è successo al vortice polare?
Durante la stagione invernale il vortice polare stratosferico si è mantenuto molto freddo e intenso, in modo particolare fra la bassa stratosfera e la parte più alta della troposfera, continuando a mantenere il proprio baricentro sopra la regione artica, fra la Siberia centro-orientale e l’Arcipelago Artico canadese.
La vasta circolazione ciclonica divenendo profonda ha favorito lo sviluppo di profondi cicloni extra-tropicali colmi di aria gelida d’estrazione artica in costante invorticamento, alle alte latitudini. Ciò ha inibito l’avvento di importanti ondate di freddo verso la fascia temperata, mentre l’aria gelida rimane confinata oltre il circolo polare artico e le alte latitudini, interessando principalmente il Canada, la Groenlandia, la Lapponia e la Siberia settentrionale.
Cosa comporta un vortice polare freddo e compatto?
Quando il vortice polare tende a rafforzarsi una profondissima circolazione depressionaria principale colma di aria gelida artica, si attiva sopra il mar Glaciale Artico, a cui si associano altre aree cicloniche secondarie che rinvigoriscono importanti figure di bassa pressione, come la famosa depressione semi-permanente d’Islanda o la depressione delle Aleutine.
Si viene così ad innescare un intenso “gradiente barico orizzontale” e di “geopotenziale”, fra le latitudini artiche e quelle temperate, che vanno a rinvigorire il ramo principale della “corrente a getto polare” che scorre sull’intero emisfero, con i relativi “Jet Streaks” (massimi di velocità del “getto”) localizzati nelle aree di massima differenza di pressione e temperature, fra alte e medie latitudini.
Un vortice polare compatto, sia in sede stratosferica che in troposfera, rafforza sensibilmente il flusso perturbato piuttosto intenso, capace di scorrere a gran velocità sull’area atlantica, intorno al 50° parallelo nord, con ondulazioni (“onde di Rossby”) a tratti marcate, ma che vengono prontamente tagliate dai poderosi “Jet Streaks” che si attivano fra il Pacifico settentrionale, il nord America e l’Atlantico settentrionale, a seguito dell’inasprimento del “gradiente di geopotenziale” e del “gradiente termico orizzontale” tra le latitudini artiche e l’area temperata.
Ecco perché l’aria fredda ha difficoltà a scendere di latitudine
In sostanza, la presenza di un “getto polare” molto forte, rinvigorito da questi “gradienti di geopotenziale” in quota, attivi fra l’Asia orientale, il nord America e l’Atlantico settentrionale, con intensi “Jet Streaks” che si distribuiranno fra il Pacifico settentrionale e l’Atlantico orientale, fino alle porte dell’Europa occidentale, tendono ad inibire lo sviluppo delle onde troposferiche, in grado di ergersi fino alle latitudini artiche e intaccare dall’interno la figura del vortice polare troposferico.
In tale contesto le masse d’aria molto gelide, d’estrazione artica, rimarranno confinate fra l’altopiano della Siberia orientale (Jacuzia) o sui territori del Canada, dove si aprono fasi di tempo perturbato e molto freddo.
Quali effetti sull’ozono?
Recenti studi (vedi Ines Tritscher, Michael C. Pitts, et All) hanno dimostrato come un vortice polare molto compatto, e soprattutto molto freddo, possa avere conseguenze negative sulle concentrazioni dell’ozono, favorendone una sensibile diminuzione della sua concentrazione nella stratosfera.
La rapida perdita di ozono, non appena arriva la prima luce solare, con la fine della lunga notte polare, può esporre le aree interessate ad una maggiore esposizione ai raggi ultravioletti del sole, con inevitabili conseguenze per le aree dell’Artico, non appena sopraggiunge l’estate boreale.
Una delle principali cause della riduzione delle concentrazioni di ozono sull’artico è da ricondurre alle temperature molto fredde, nella stratosfera artica, che possono favorire lo sviluppo di nuvole nella bassa stratosfera. Questo tipo di nuvole presentano al loro interno dei composti alogeni, vedi il bromo o il cloro, che vi rimangono intrappolati per gran parte dell’inverno. Appena finisce la notte polare e arrivano i primi raggi solari le nuvole stratosferiche tendono a dissolversi e la gran parte dei composti alogeni in esse contenuti si trasformano in cloro biatomico, pronto ad intaccare lo strato di ozono.
Il cloro biatomico contribuisce alla parziale distruzione dell’ozonosfera, favorendo così la formazione dei famigerati “buchi di ozono”. Difatti maggiori saranno i composti di cloro, più importante sarà l’assottigliamento dello strato di ozono.