Anche l'Antartide ha il suo vortice polare: in questi giorni è molto disturbato, ecco cosa sta succedendo
In queste settimane un intenso “stratwarming” ha interessato l’area antartica, tanto che l’intenso riscaldamento è riuscito a propagarsi fino all’alta troposfera, instabilizzando il vortice polare antartico.
Anche sopra il continente antartico esiste il vortice polare, ossia una profonda figura ciclonica, colma di aria molto gelida a tutte le quote, che staziona in modo semi-permanente sopra le regioni polari.
Esso è identificabile in un profondo vortice depressionario, ben strutturato in quota, nella media troposfera, caratterizzato da bassissimi valori di geopotenziali, legati ad isoterme molto gelide, anche sotto i -45°C -50°C alla quota di 500 hPa (circa 5400 metri).
Le differenze con il vortice polare artico
Non presenta la stessa forma allungata del “vortice polare artico”, con due lobi principali, uno normalmente collocato su Baffin, nell’Artico canadese, e l’altro sul nord-est della Siberia.
Ma è ben identificabile nelle mappe a 500 hPa e 250 hPa con un profondo vortice depressionario attivo sopra il Polo Sud. Molte scuole di meteorologia sinottica mitteleuropee e statunitensi ritengono che la formazione di questa figura ciclonica semi-permanente, sopra il Polo Nord, è da attribuire al flusso zonale (le forti correnti occidentali) che scorrendo alle medio-alte latitudini, intorno alla Terra, danno vita ad un vortice depressionario, con tanto di isobare chiuse, approssimativamente circolari e concentriche attorno al mar Glaciale Artico.
In pratica non sarebbe altro che frutto delle impetuose “westerlies” che scorrono a gran velocità lungo l’intero emisfero boreale. Lo stesso concetto vale per la figura ciclonica che domina in quota, specie fra l’inverno e la primavera australe, sopra l’Antartide, meglio conosciuta con il termine di “vortice polare antartico”.
Molto più freddo e solido di quello artico
Rispetto al suo omonimo artico il “vortice polare antartico” è molto più solido poiché staziona sopra un immenso continente ghiacciato, dove prevalgono masse d’aria molto gelide e secche che tengono in vita un potente anticiclone termico sul Plateau.
Peraltro nell’emisfero australe la mancanza di un’orografia complessa non produce grandi “onde di Rossby” (con i loro apporti di calore dalle latitudini oceaniche) che invece sono alla base dei periodici “split” (divisione) del vortice polare troposferico artico.
Ma anche il “vortice polare antartico” può subire delle fasi di forte instabilità in determinate situazioni, anche se molto più raramente rispetto a quanto avviene sopra il mar Glaciale Artico. Recenti studi hanno dimostrato come anche la stratosfera antartica può essere interessata da forti riscaldamenti, anche di +30°C +50°C, fenomeno meglio noto con il termine di “stratwarming”.
Proprio come accade sull’Artico questo anomalo riscaldamento della bassa stratosfera, una volta attivo, tende gradualmente ad espandersi verso l’alta troposfera, con un importante aumento termico che ha delle conseguenze importanti sull’evoluzione meteorologica al suolo. Lo “stratwarming” è in grado di produrre una rottura o separazione (detto “split”) del cosiddetto “vortice polare antartico”.
Un importante evento di stratwarming al Polo Sud
In queste condizioni la figura ciclonica che domina sopra il continente antartico può scomparire o decentrarsi dalla sua posizione originale. Negli ultimi giorni un intenso “stratwarming” ha interessato l’area antartica, tanto che l’intenso riscaldamento è riuscito a propagarsi fino all’alta troposfera, instabilizzando il “vortice polare antartico”.
Alcuni studi hanno mostrato importanti e inaspettate correlazioni tra le dinamiche del “vortice polare antartico” ed il comportamento della fascia dell’ozono presente nelle latitudini interessate da questo fenomeno vorticoso.
Si è appurato che più basse sono le temperature rilevate in inverno all’interno di questo vortice e più probabile che in primavera, la fascia dell’ozono a queste latitudini subirà un progressivo dissolvimento, creando un vero e proprio “buco”. Una correlazione di non poco conto che continua a far discutere gli scienziati.