Magma sotto l’Appennino e terremoti: quello che c’è da sapere
La scoperta scientifica di un gruppo di ricercatori italiani sulla risalita di magma sotto l'Appennino meridionale, all'origine di terremoti anche forti, ha ricevuto molta attenzione in questi giorni in Italia e nel mondo. Ecco quello che c'è da sapere su questa importante scoperta.
Nei giorni scorsi ha avuto molto risalto, in Italia e non solo, la notizia di una importante scoperta scientifica. Uno studio effettuato da ricercatori italiani, ha svelato la presenza di magma in profondità sotto le montagne dell’Appennino meridionale, nella zona del Sannio-Matese. La presenza di questo magma sarebbe all'origine di una serie di terremoti avvenuti in quell'area fra il 2013 ed il 2014, il più forte dei quali raggiunse magnitudo 5.
Si tratta di una scoperta molto importante, non solo a livello italiano ma anche mondiale. In generale infatti, si sa che le catene montuose sono caratterizzate da terremoti causati dall'attivazione di faglie. Queste faglie si muovono in risposta a sforzi tettonici. Nel caso dell’Italia appenninica, le faglie che producono terremoti si muovono per via degli sforzi tettonici dovuti alla collisione fra placca Africana ed Eurasiatica. In questo caso, invece, sarebbe stata la risalita di magma in profondità a provocare i terremoti.
La sequenza sismica “anomala” del 2013-2014 nel Sannio-Matese
La scoperta è stata fatta dopo uno studio approfondito della sequenza sismica (considerata anomala dai ricercatori) avvenuta fra il 2013 ed il 2014 nel Sannio-Matese. Si tratta di un’area dell’Appennino meridionale a cavallo fra Campania e Molise. Alla fine del 2013 e nel gennaio del 2014 si verificarono numerosi terremoti fra le province di Caserta e Benevento, il più forte dei quali raggiunse magnitudo massima 5. Questi terremoti che crearono molta apprensione nella zona e vennero avvertiti distintamente anche a Napoli. Del resto, si tratta di un’area con alta pericolosità sismica, dove nei secoli passati sono avvenuti terremoti disastrosi.
Dallo studio di questa sequenza si è scoperto che non è stata una faglia sismogenetica a generare quei terremoti, ma una risalita di magma nella crosta, fra i 15 ed i 25 chilometri di profondità. Del resto, già subito dopo gli eventi sismici, erano emerse alcune peculiarità, come la profondità degli ipocentri e le diverse forme d’onda degli eventi più importanti, più simili a quelle dei terremoti in aree vulcaniche.
Non è certo una scoperta di oggi il fatto che la presenza di magna in profondità possa causare terremoti, ed è quanto avviene continuamente in corrispondenza di aree vulcaniche attive o quiescenti, come l’Etna o il Vesuvio. Quello che non si sapeva è che la risalita di magma potesse causare anche terremoti con magnitudo significativa, capaci di creare danni importanti. Solitamente i terremoti in area vulcanica hanno magnitudo ridotte.
Secondo Guido Ventura, vulcanologo dell’INGV, “questo risultato apre nuove strade alla identificazione delle zone di risalita del magma nelle catene montuose e mette in evidenza come tali intrusioni possano generare terremoti con magnitudo significativa”.
La risalita di magma farà nascere un vulcano in Matese?
Come sottolineato da Giovanni Chiodini, geochimico dell’INGV, “è da escludere che il magma che ha attraversato la crosta nella zona del Matese possa arrivare in superficie formando un vulcano. Tuttavia, se l’accumulo di magma dovesse proseguire, non è escluso che nei prossimi millenni (stiamo parlando quindi di tempi geologici) si possa creare una struttura vulcanica.
I risultati di questo studio aprono nuove conoscenze sia sui meccanismi dell’evoluzione della crosta terrestre, sia sulla interpretazione e sul significato della sismicità nelle catene montuose. Questo aiuterà a perfezionare la valutazione del rischio sismico correlato.
La conoscenza dei segnali riconducibili alla risalita di magmi in zone non vulcaniche deve essere ancor estesa ad altre grandi catene come quella Alpino-Himalayana, la catena dei Monti Zagros (tra Iraq e Iran), le Ande e la Cordigliera Nord-Americana.
Recentemente un altro studio aveva scoperto la presenza di nuovi vulcani sottomarini.