Come nascono i cicloni tropicali?
Sono caratterizzati da una forte attività temporalesca centrale, con enormi nubi cumuliformi, che vengono generate e alimentate di continuo dal calore latente che viene liberato dalla forte evaporazione che si verifica durante la fase finale della stagione calda sui mari tropicali.
I cicloni tropicali sono dei profondissimi sistemi di bassa pressione che si originano sui caldi mari tropicali, con temperature superficiali delle acque superiori ai +27°C, tra la fascia sub-equatoriale e l’area del tropico, sul finire della stagione calda.
Nei mari tropicali dell’emisfero boreale si iniziano a formare fra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, quando l’ITCZ, il “fronte di convergenza intertropicale” (dove si concentra la linea di convergenza degli Alisei), si sposta verso nord, avvicinandosi al tropico del Cancro e agevolando una intensificazione dell’attività convettiva che come vedremo fungerà da base per la formazione delle perturbazioni tropicali.
Caratteristiche principali e differenze con i comuni cicloni extratropicali
Sono caratterizzati da una forte attività temporalesca centrale, con enormi nubi cumuliformi, che vengono generate e alimentate di continuo dal calore latente che viene liberato dalla forte evaporazione che si verifica durante la fase finale della stagione calda sui mari tropicali.
A differenza dei comuni cicloni extratropicali, che interessano le nostre latitudini, i cicloni tropicali hanno delle dimensioni molto più piccole e ristrette. In più nei cicloni tropicali non esiste un divario termica nei vari settori, come accade per gli extratropicali, ma si tratta di immensi vortici costituiti da masse d’aria molto umide e calde, termicamente omogenee, soprattutto nei bassi strati.
Questo particolare li rende ancora più violenti, conservando tutto il loro potenziale energetico, in termini di vento e piogge torrenziali, attorno il nucleo centrale. Inoltre sono caratterizzati da impressionanti “gradienti barici orizzontali”, spesso particolarmente ristretti, che danno origine a venti molto violenti e che assumono una componente molto vorticosa e fluttuante in più direzioni.
Ma come si formano i cicloni tropicali?
La formazione dei cicloni tropicali avviene solo se intervengono una serie di fattori concomitanti che ora andremo ad analizzare. Il primo fattore, indispensabile, è lo sviluppo di una “tropical wave”, ossia un fronte perturbato tropicale privo di rotazione, contraddistinto da una forte attività temporalesca centrale, che si sposta da est verso ovest, sotto la spinta del “getto tropicale” (“easterly jet”) che a quelle latitudini si muove da est a ovest.
Ma per formare una “tropical wave” ben consolidata occorre lo sviluppo di un’ondulazione dentro il flusso degli Alisei, con la formazione di zone di venti convergenti e divergenti che hanno la stessa direzione degli Alisei, ma che si propagano con minore velocità.
Nell’area di convergenza (linea di convergenza venti sul margine est dell‘onda tropicale) si origina una intensa attività convettiva che dà luogo a grossi temporali, mettendo le basi per la creazione della “tropical wave”. In questa fase, quando l’attività convettiva si intensifica notevolmente, i venti tendono a rinforzarsi, soffiando oltre i 40-50 km/h, creando un accenno di rotazione, con venti da nord-est davanti, da est nella parte centrale e da sud-est dietro l’onda tropicale, nella zona dove si localizza la convezione derivata dalla convergenza venti nei bassi strati.
Fasi di sviluppo
Di solito dalle moviole satellitari la formazione di una “tropical wave” appare come una fascia di nubi disorganizzata che si muove da est a ovest, mentre l’innesco dell’ondulazione dei venti nei bassi strati alle volte neanche viene definita dai modelli. Quando l’onda tropicale appena formata passa sopra le acque superficiali molto più calde, con temperature di almeno +27°C +28°C, l’attività temporalesca comincia a rafforzarsi fino a scoppiare verso l‘alto.
Durante questo passaggio l’intensificazione delle precipitazioni temporalesche è concomitante con una diminuzione della pressione atmosferica nei bassi strati, che scende al di sotto dei 1008-1006 hPa, con la formazione di un minimo barico centrale che favorirà un ulteriore rinvigorimento dell’attività convettiva, con il risucchio di masse d’aria molto calde e umide dalla superficie oceanica.
La formazione del minimo barico da origine alla circolazione ciclonica nei bassi strati, con i venti da nord-est nella parte anteriore che tendono a ruotare più da nord-ovest e da Ovest nella parte sud, mentre nella parte posteriore i venti da sud-ovest e da Sud tendono a chiudere la parte nord dell’onda ruotando da sud-est e da Est, generando così la depressione tropicale.
Da qui la condensazione aumenta e l’instabilità verticale si approfondisce ulteriormente, determinando il calo di pressione e facendo aumentare l’intensità dei venti che a loro volta favoriscono l’ulteriore evaporazione e la condensazione stessa, con un meccanismo che si autoalimenta fino a quando rimane pressoché invariata la fonte di energia che lo alimenta, cioè l’acqua calda oceanica.
Altre depressioni tropicali si sono innescate da grossi nuclei temporaleschi che si sono staccati dall’ITCZ e sono andati alla deriva verso l’area sub-equatoriale e tropicale, cominciando a roteare su sé stessi per l’effetto di Coriolis coadiuvato da locali linee di convergenza nei bassi strati o campi di vento convergenti fra loro. Ma la depressione tropicale per svilupparsi ulteriormente ha bisogno di altri elementi importanti, fra cui;
1) la presenza di acque superficiali molto calde, con valori superiori ai +27°C +28°C.
2) una distanza di circa 10° o più dall‘equatore geografico, in modo che l‘effetto di Coriolis sia sufficiente per imprimere una maggior rotazione al ciclone e rafforzarlo ulteriormente con l‘incremento dell‘azione centrifuga.
3) una bassa intensità del “Wind Shear” in quota, ossia delle variazioni di velocità e direzione dei venti alle varie quote, dato che un “Wind Shear” moderato o forte in quota può arrestare la convezione spezzando l’intera struttura, dissipandola rapidamente strappando la sommità delle bande nuvolose spiraliformi.
4) lo sviluppo di una circolazione depressionaria o un moto rotatorio ciclonico nei bassi strati che tende a chiudersi su sé stesso, rimanendo pressoché intatto.
Quando tutti questi fattori sono presenti allora è altamente probabile che si possa formare una tempesta tropicale, ossia una intensa area depressionaria tropicale, priva ancora di occhio centrale, che si intensifica ulteriormente per effetto dell’aumento della condensazione, la liberazione di calore latente e la conseguente diminuzione della pressione centrale, fin sotto i 1000 hPa.
Il proseguimento di questo processo, se non intervengono altri fattori esterni (aumento del “Wind Shear”), formano il ciclone tropicale che nasce solo quando l’energia liberata dalla condensazione del vapore nelle correnti ascendenti causa un ciclo di “autoalimentazione“ continuo che costruisce le enormi bande nuvolose spiraliformi che danno vita alle piogge torrenziali.
L’aria si scalda e sale verso l‘alto, ciò incrementa la condensazione, mentre l’aria che fuoriesce dalla sommità del sistema ridiscende verso la periferia del ciclone per poi riconvergere sotto forma di forti venti che spirano verso l’interno. Questa macchina perfetta da una parte alimenta la convenzione nei bassi strati, facendo ulteriormente diminuire la pressione centrale con l’intensificazione delle piogge, e dall’altra immette nuovi flussi di aria calda e umida attraverso l’intenso deflusso che si origina alle quote superiori.
Per questo motivo i cicloni tropicali sono caratterizzati nei bassi strati da un furioso flusso convergente, mentre in quota prevale un deflusso che spinge l’aria calda e umida, che salendo verso gli strati superiori si è sensibilmente raffreddata liberando una gran quantità di calore latente, dal centro alla periferia della circolazione ciclonica. Queste correnti in quota allontanano i cirri, che sembrano uscire dal ciclone, dando all’osservatore una prima indicazione sulla direzione del centro del ciclone.
Formazione dell’occhio centrale
Quando i venti ciclonici superano un’intensità media di oltre i 130-140 km/h nella parte centrale del ciclone si forma il classico occhio che contraddistingue i cicloni tropicali. L’occhio solitamente comincia a fare la sua comparsa, di solito sull’emisfero nord, all’estremità orientale del sistema. La formazione dell’occhio centrale è da imputare dal fatto che una parte dell’aria che si trova lungo il contorno della calma centrale viene spinta verso il centro della massa d’aria che si solleva.
L’aria salendo di quota diventa molto secca, perdendo tutto il suo contenuto umido, e molto fredda e pesante. Cosi una volta raggiunta una certa altezza, sopra i 15-16 km, tende a scendere verso il basso e si riscalda adiabaticamente, inibendo la formazione di nubi e favorendo un rialzo della temperatura e una diminuzione dell’umidità, con venti molto deboli o assenti.
Ma se dentro l’occhio del ciclone l’aria è calma il mare, invece, rimane molto grosso o tempestoso visto che le onde che si trovano in questa zona sono state sollevate dai fortissimi venti ciclonici delle ore precedenti. I cicloni tropicali possono divenire molto potenti e durevoli a condizione che vengono alimentati da flussi d’aria molto caldi e umidi, d’origine sub-equatoriale, che provengono dai quadranti meridionali.
Questo è il caso del terribile uragano “Mitch”, che nel 1998 devastò l’America centrale, rimase con il proprio centro sopra le montagne dell’America centrale, poiché era tenuto in vita dall’aria calda e molto umida che lo stesso ciclone riusciva ad aspirare sia dai Caraibi occidentali che dall’oceano Pacifico orientale.