Tara Polar Station: un laboratorio galleggiante per scoprire i segreti dell’Artico e salvarlo prima che sia troppo tardi

Nel 2026 partirà la prima spedizione della Tara Polar Station, seguita da altre nove, per un totale di due decenni di monitoraggi e ricerche sul campo. Una buona notizia, nella speranza di raccogliere dati utili per comprendere e affrontare la crisi dell'Artico

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Le spedizioni della Tara Polar Station inizieranno nel 2026 e avranno lo scopo di studiare gli effetti dei cambiamenti climatici, e non solo, nell'Artico

Nella regione artica, a differenza di quanto avviene alle nostre latitudini, ci sono solo due stagioni: l’inverno e l’estate. Alla fine di ogni inverno si registra la massima estensione del ghiaccio marino per quell’anno, dopodiché inizia la fusione che caratterizza tutto il periodo estivo, fino al raggiungimento della minima estensione stagionale del ghiaccio a fine estate.

L'11 settembre 2024 registrata l'estensione minima annuale

Questo evento si verifica generalmente nel mese di settembre e quest’anno, in particolare, è avvenuto il giorno 11, quando la banchisa polare è risultata estesa 4,28 milioni di kmq. Dal giorno successivo, grazie al progressivo raffreddamento della regione, il ghiaccio ha ripreso lentamente a formarsi e a guadagnare superficie marina.

Rispetto alla media di riferimento, relativa al periodo 1981-2010 e pari a 6,22 milioni di kmq, in questo momento mancano all’appello 1,94 milioni di kmq di ghiaccio, ma ci sono sei annate passate in cui l’estensione minima annuale ha fatto registrare dati ancora peggiori:

  • 2023 con 4,23 milioni di kmq (raggiunti il 19 settembre)
  • 2019 con 4,19 milioni (raggiunti il 18 settembre)
  • 2016 con 4,17 milioni (raggiunti il 10 settembre)
  • 2007 con 4,16 milioni (raggiunti il 18 settembre)
  • 2020 con 3,82 milioni (raggiunti il 16 settembre)
  • 2012 con 3,39 milioni (raggiunti il 17 settembre)

    Sempre meno ghiaccio "vecchio"

    Oltre ai dati sull’estensione del ghiaccio marino, bisogna tenere conto di quelli relativi alla proporzione tra la quantità di ghiaccio “vecchio” e “giovane”.

    Il primo è quello che, in una certa fase storico-climatica, sopravvive al periodo estivo ed è per questo detto perenne, grazie al fatto che si è formato da diversi anni, ha un elevato spessore ed è protetto dalla neve e dal ghiaccio giovane.

    Il ghiaccio giovane, di conseguenza, è quello che si forma ai margini della banchisa durante l’inverno ed è maggiormente soggetto alla fusione estiva.

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    La superficie di mare coperta da ghiaccio giovane alla fine dell'inverno aumenta di anno in anno rispetto a quella coperta dal ghiaccio più spesso, quello cioè meno vulnerabile alla fusione estiva e che sostiene la vita di diverse specie, tra cui l'orso polare

    Il cambiamento climatico sta impattando negativamente sia sull’estensione del ghiaccio marino sia sulla quantità di ghiaccio “vecchio”, causando una riduzione di entrambe.

    La Tara Polar Station alla volta del Polo Nord

    In questo scenario c’è però una buona notizia: se da un lato infatti le attività umane sono le principali responsabili dei cambiamenti climatici in atto, dall’altro è proprio la specie umana che tramite la scienza, la tecnica e la ricerca può cercare di trovare mezzi e strumenti efficaci per affrontare questo problema e trovare possibili soluzioni.

    L’ultima importante novità si chiama Tara Polar Station, una stazione scientifica della fondazione francese “Tara Ocean” che, intrappolata tra i ghiacci dell’oceano artico e nel cuore della notte polare, consentirà di studiare le interazioni tra l’atmosfera, la superficie del ghiaccio marino e l'oceano sottostante.

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    Come verosimilmente apparirà la Tara Polar Station, al sorgere del sole dopo la lunga notte polare, durante una delle molteplici spedizioni previste a partire dal 2026 © Fondation Tara Océan

    Il cantiere della stazione Tara è stato avviato nell’aprile 2023 e a ottobre 2024, dopo solo un anno e mezzo di lavori, questo laboratorio galleggiante ha già preso forma, la sua stabilità è stata testata con successo sulla superficie marina e simbolicamente è già stata inaugurata, anche se sono necessari ancora diversi lavori al suo interno. La prima missione è prevista per il 2026.

    La progettazione: com'è fatta dentro e fuori

    Esternamente la stazione è costituita da una struttura ellissoidale, composta dal ponte principale e lo scafo.

    Sul ponte principale, avente superficie piana, poggia una struttura geodetica che al suo interno ospita gli ambienti di vita e di ricerca.

    Questi sono rappresentati da laboratori scientifici, spazi abitativi, sistemi di riscaldamento e isolamento, sistemi di sicurezza, magazzini e spazi per lo stoccaggio. Per fabbricare la stazione sono stati utilizzati materiali in grado di resistere a temperature estreme, alla deformazione del ghiaccio e a proteggere gli ambienti interni dal gelo polare.

    Dispone inoltre di turbine eoliche, pannelli solari e biocarburanti di terza generazione per minimizzare il suo impatto ambientale, e di antenne e sistemi di rilevamento per restare in contatto con il resto del mondo.

    In balìa della Corrente di Deriva Transpolare

    La particolarità di questa stazione riguarda però il modo in cui essa si sposterà nella regione artica nel corso delle spedizioni: non c’è un percorso predefinito e nemmeno un sistema di propulsione costantemente attivo che determinerà la spostamento della stazione, che infatti si muoverà in balìa delle correnti marine, dei venti e degli spostamenti della banchisa polare in cui risulterà intrappolata per il 90% del tempo delle singole spedizioni.

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    Nell’Oceano artico ci sono due principali correnti oceaniche, chiamate “Beaufort Gyre” (in viola) e “Transpolar Drift Stream” (in rosso)

    Nell’Oceano artico ci sono due principali correnti oceaniche, chiamate “Beaufort Gyre” e “Transpolar Drift Stream”: la prima si muove in senso orario nella parte nordamericana dell’Artico, mentre la seconda parte dalla Siberia, attraversa il Polo Nord geografico e prosegue a sud verso la Groenlandia e lo stretto di Fram, ed è proprio da questa corrente che dipenderà il movimento della Tara Polar.

    Dal 2026 al 2045: previsti venti anni di ricerche

    La stazione potrà trasportare un equipaggio costituito da un minimo di 12 a un massimo di 20 persone per volta, per un periodo massimo di 18 mesi, dopo i quali necessiterà di rifornimenti.

    Le missioni nel complesso copriranno un periodo di venti anni, dal 2026 al 2045, durante i quali verranno raccolti dati per:

    • comprendere meglio l'impatto del cambiamento climatico nell'Artico e sul resto del pianeta;
    • migliorare la conoscenza della biodiversità sulla Terra esplorando regioni oggi inaccessibili;
    • rivelare gli adattamenti unici che hanno permesso la vita in questo ambiente estremo;
    • analizzare le conseguenze dello scioglimento del ghiaccio marino e dell'inquinamento su questi ecosistemi unici e fragili;
    • osservare gli stock ittici artici e l'impatto dell'arrivo di specie più temperate;
    • scoprire nuove molecole, specie e processi con nuove potenziali applicazioni.

    Un laboratorio ai confini del mondo

    Ricercatori e scienziati da tutto il mondo attendono con interesse la fine dei lavori all’interno della Tara Polar Station, un laboratorio in balìa delle correnti che si spingerà ai confini del mondo per raccogliere dati e informazioni utili sul destino dell’Artico, da cui dipende la salute di tutta la Terra.

    Per approfondimenti:

    https://fondationtaraocean.org/en/schooner/tara-polar-station/

    https://nsidc.org/sea-ice-today/sea-ice-tools/charctic-interactive-sea-ice-graph