Sul Mediterraneo si possono sviluppare uragani terrificanti come Milton? La risposta del meteorologo Daniele Ingemi
Anche il Mediterraneo, soprattutto durante il periodo autunnale, può sfornare dei cicloni che assumono caratteristiche tropicali, capaci di alimentarsi dal solo calore latente fornito dalla calda superficie di un mare chiuso come il Mediterraneo.
Anche il Mediterraneo, soprattutto durante il periodo autunnale, può sfornare dei cicloni che assumono caratteristiche tropicali, capaci di alimentarsi dal solo calore latente fornito dalla calda superficie di un mare chiuso come il Mediterraneo.
Ancora oggi quando si parla di “TLC” (“tropical like cyclone”), un acronimo ormai superato, spesso si fa parecchia confusione, specialmente quando questo tipo di sistemi vengono associati ai tradizionali cicloni tropicali.
Nella maggior parte dei casi l’unica vera differenza fra i “TLC” mediterranei e i tradizionali cicloni tropicali atlantici sta nella loro origine e nel meccanismo che ne determina il rapido approfondimento in mare aperto.
Le tempeste ibride del Mediterraneo
Sul Mediterraneo si possono formare tempeste “ibride” che presentano marcate caratteristiche sub-tropicali, caratterizzati da un’attività convettiva “asimmetrica” e da una “warm core” ben visibile nei medi e bassi strati.
Vedi, per esempio, il caso del ciclone "Ianos", che colpì la Grecia nel settembre del 2020, quando la vorticità parti dal basso, invece che dall'alto, come invece accade per i cicloni subtropicali del Mediterraneo.
Come nascono questi cicloni tropicali mediterranei?
Nei “TLC”, a differenza dei tipici cicloni tropicali, lo scoppio dell’attività convettiva, che può avvenire pure sopra mari tutt’altro che caldi per mantenere un ciclone tropicale (temperature di +19°C +20°C), viene prodotto dall’afflusso in quota, sopra la circolazione depressionaria, di aria piuttosto fredda, con valori non adatti a processi ciclogenetici tropicali.
L’afflusso di aria decisamente più fredda in quota poi va ad innescare la profonda ciclogenesi sub-tropicale, che poi può evolvere in un autentico ciclone tropicale.
Questo flusso di aria fredda, soprattutto fra media e alta troposfera, determina una significativa intensificazione dei moti convettivi (correnti ascensionali) interni alla circolazione depressionaria.
La presenza di un nocciolo depressionario, alla quota isobarica di 500 hPa, ancora a prevalente carattere freddo, può inizialmente illudere sulla possibile ibridazione, tanto da far apparire il sistema, già con caratteristiche tropicali, in un comune ciclone extratropicale (sotto l’aspetto del processo dinamico).
Ma non è così, visto che il processo di trasformazione, da “baroclino” a “barotropico”, può risultare molto complesso, tanto da rendere quasi indeterminabile il tipo di sistema in evoluzione.
Durante questa fase il ciclone avvia la cosiddetta “tropical transition”, ossia l’evoluzione da un sistema ciclonico “baroclino”, in un sistema “barotropico”, con un minimo depressionario molto profondo, consolidato sia al suolo che in quota, nel medesimo punto (quindi concentrico) lungo tutta la verticale.
Ma prima della trasformazione in un sistema depressionario di tipo tropicale, nella fase di ibridazione, i flussi convettivi di calore sensibile (aria calda) e latente (aria umida) in ingresso nel vortice ciclonico devono dominare sulle altre correnti, riempendo quest’ultimo di aria calda e molto umida che innesca il processo di “autoalimentazione”, tipico dei cicloni tropicali.
Tutta questa energia potenziale viene trasformata in energia cinetica che produce un improvviso scoppio dell’attività convettiva (correnti ascensionali in rotazione vorticosa) attorno il centro della bassa pressione, comportando un notevole approfondimento di quest’ultima a seguito del calore latente sprigionato dalla condensazione del vapore acqueo messo a disposizione dalla calda superficie del mare.
Quando il processo sopra descritto termina il ciclone diventa pienamente autonomo rispetto al contesto sinottico generale, prendendo la sua energia dal calore latente fornito dal mare.
Di conseguenza la convezione, forzata, esplode nel centro del sistema, il “gradiente barico orizzontale” attorno il ciclone si rafforza a dismisura, divenendo anche molto fitto, mentre i venti si intensificano improvvisamente fino a superare i 100-120 km/h, con veri e proprie bufere di vento, specie sul quadrante meridionale, che agevolano la formazione del tipico occhio del ciclone attorno le imponenti “torri temporalesche”.
La differenza rispetto i cicloni tropicali delle basse latitudini
Senza questo tipo di innesco dinamico in quota, rappresentato da un flusso di aria molto fredda e secca che dalla bassa stratosfera riesce a scivolare verso l’alta troposfera (“invasioni di aria stratosferica”), destabilizzando l’intera colonna d’aria, la formazione di questi cicloni e la loro successiva degenerazione in “Mediterranean Tropical Storm”, o più raramente in “Medicane” (uragani mediterranei), diventa quasi impossibile.
Proprio per questo tali cicloni ibridi mediterranei possono nascere pure sopra mari freddi nel cuore della stagione invernale. Difatti in passato sono state osservate delle “Mediterranean Tropical Storm” e dei “Medicanes” muoversi sopra mari piuttosto freddi, con valori attorno i +18°C +19°C.
A differenza dei cicloni tropicali dell’Atlantico o dell’Oceano Pacifico, che per svilupparsi hanno bisogno di mari molto caldi, fino a grandi profondità, e di grandissimi spazi aperti, per migliaia di chilometri, cosa che non abbiamo nel nostro Mediterraneo.
Per questo uragani intensi, come Milton o Helene, da noi sul Mare Nostrum non si possono sviluppare, visto anche lo spazio insufficiente per potersi muovere e continuare ad autoalimentarsi.
Uragani come Milton non si possono formare sul Mediterraneo?
Inoltre i Paesi che si affacciano sull’area del Mediterraneo, sia lungo la costa africana che europea, sono caratterizzati da una aspra orografia, spesso caratterizzata da montagne a strapiombo sul mare.
Queste caratteristiche impedirebbero la formazione di cicloni tropicali di categoria major, nonostante le elevatissime quantità di umidità e di calore latente che ogni anno, dopo l’estate, si accumulano sopra il Mediterraneo.
Un altro fattore a sfavore di uragani così violenti è proprio il “wind shear verticale” (variazioni di velocità e direzione del vento man mano che si sale di quota), che lungo le latitudini mediterranee, causa il passaggio dei rami principali del getto polare e del getto subtropicale, rimane sempre troppo invasivo per lo sviluppo di eventuali ciclogenesi tropicali, capaci di assumere un grande sviluppo.