Disastro del Vajont, sono passati 61 anni: ecco cosa accadde sulle Alpi ed in che modo la geologia poteva evitarlo

Il 9 ottobre di 61 anni fa la catastrofe del Vajont, sulle Alpi italiane, sconvolgeva la Valle del Piave. Ecco cosa accadde e perché il disastro poteva essere evitato grazie allo studio della geologia.

vajont
La gola del Vajont vista dalla Valle del Piave, con la diga costruita negli anni '60 ancora in piedi.

Il 9 ottobre di 61 anni fa si verificò in Italia uno dei peggiori disastri che abbia colpito l'Europa in tempi recenti. Una enorme frana staccatasi dal Monte Toc, sulle Prealpi bellunesi al confine fra il Friuli-Venezia Giulia ed il Veneto, sprofondò nell'invaso artificiale del Vajont, che era stato appena realizzato, generando un'enorme onda di piena. Questa valanga d'acqua e fango si riversò con terribile violenza nella Valle del Piave, portando morte e distruzione. Il bilancio della catastrofe fu tremendo: circa duemila morti.

Il disastro del Vajont si può inquadrare come catastrofe industriale visto che venne causato dalla realizzazione di un bacino idrico artificiale per la generazione di energia idroelettrica. Un disastro che si sarebbe potuto evitare se fossero state ascoltate alcune persone che avevano avvisato dei gravi rischi, come il geologo Edoardo Semenza e la giornalista Tina Merlin.

Cosa accadde la notte del 9 ottobre 1963

La notte era già calata da diverse ore su quest'area delle Alpi e sulla Valle del Piave. Sopra il centro abitato di Longarone, che sorgeva proprio davanti la stretta vallata del torrente Vajont, svettava maestosa la nuovissima diga costruita negli anni precedenti, con la quale era stato appena creato il bacino artificiale del Vajont, che avrebbe permesso di generare energia idroelettrica in un paese in piena crescita economica e bisognoso di corrente

Era una diga da record, alta 260 metri, con una struttura ad arco a doppia curvatura, e nel periodo di costruzione tra il 1957 ed il 1960 era la più alta del mondo nel suo genere.

9 ottobre 1963, ore 22.39: si stacca la frana

Improvvisamente, alle 22.39, una enorme frana si staccò dalla montagna che svettava sulla sinistra idrografica del lago, conosciuta come Monte Toc. Aveva un volume mostruoso di circa 270 milioni di metri cubi - volume più del doppio di quello dell'acqua contenuta nell'invaso - e un fronte di tre chilometri. L'enorme movimento franoso precipitò nel lago artificiale generando un'enorme onda alta fino a 250 metri.

L'enorme movimento franoso precipitò nel lago artificiale generando un'enorme onda alta fino a 250 metri. La valanga d'acqua e fango superò la diga, finendo nella Valle del Piave dove portò morte e distruzione.

In un primo momento la gigantesca onda sollevata dalla frana raggiunse con violenza i piccoli paesi di montagna di Erto e Casso, situati sulla sponda opposta al Monte Toc. Enormi spruzzi d’acqua scoperchiarono case e fecero danni, ma i danni furono relativamente ridotti rispetto a quello che sarebbe successo poco dopo.

vajont diga
La diga del Vajont come si presenta oggi, in una foto scattata dall'area dove sorgeva il lago artificiale. Il bacino è oggi riempito dai sedimenti della frana precipitata il 9 ottobre 1963.

Una enorme quantità d'acqua superò infatti con un salto la diga del Vajont, riversandosi nella stretta gola rocciosa che sovrastava la valle del Piave. Il paese di Longarone, situato proprio allo sbocco della valle del Vajont, sotto l’enorme diga, venne cancellato completamente dalla furia delle acque. Rimasero solo fango e detriti. Vennero spazzati via anche altri centri della valle del Piave, tutti situati nella provincia di Belluno, come Castellavazzo e Codissago.

L’impatto dell’enorme ondata sulla valle, situata alcune centinaia di metri più in basso rispetto al lago del Vajont, fu tale da creare una scossa sismica che venne registrata da diversi sismografi.

Così scrisse lo scrittore e giornalista Dino Buzzati sul Corriere della Sera: "un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi".

La frana del Monte Toc: i geologi sapevano

Cosa era successo? L’enorme paleofrana scoperta negli anni precedenti dal geologo Edoardo Semenza, rimasto purtroppo inascoltato, si era staccata. Una massa franosa di 270 milioni di metri cubi era precipitata in poche decine di secondi nell’invaso artificiale, sollevando un’onda enorme. La diga era rimasta intatta, ma l'enorme onda cancellò ogni cosa che si trovava a valle.

A staccarsi dal Monte Toc era stata una enorme frana preistorica, cioè già attiva migliaia di anni prima, poi stabilizzatasi e infine riattivatasi in tempi recenti. La vegetazione e l’erosione l’avevano “camuffata” facendola sembrare parte del versante della montagna, ma i geologi hanno strumenti e conoscenze per "vederla".

frana vajont monte toc
La gigantesca cicatrice lasciata dalla frana del Monte Toc, precipitata nel lago del Vajont, è ancora oggi visibile.

L'erosione del torrente Vajont l'aveva nuovamente resa instabile, e la creazione del lago artificiale aveva accelerato questo processo, fino al tremendo epilogo del 9 ottobre 1963.

Tutto questo era stato scoperto dal geologo Edoardo Semenza, che rimase però inascoltato dai geologi coinvolti nella realizzazione della diga. Vennero infatti messi, davanti alla sicurezza della popolazione, gli interessi economici che chiedevano di terminare quanto prima l'impianto per la generazione di energia idroelettrica.

Un'altra persona che si adoperò molto nella denuncia dei rischi di realizzazione di quella diga fu la giornalista Tina Merlin, che rimase completamente inascoltata e che subì anche accuse di procurato allarme per i suoi articoli, pubblicati su "L'Unità", nei quali aveva dato voce ai numerosi allarmi dei contadini della zona, che vedevano apparire sul Monte Toc crepe sempre più grandi.

Un punto di svolta: più attenzione alla geologia

Il disastro del Vajont ha costituito un punto di svolta, in Italia e all'estero. Dopo quell’evento catastrofico ci si rese conto che per prevenire disastri naturali bisogna sempre effettuare studi geologici molto approfonditi prima di iniziare qualsiasi opera ingegneristica.

Per costruire bene in sostanza, non basta realizzare opere di alto livello (la diga, del resto, lo era: dopo 61 anni è ancora lì) ma bisogna studiare dettagliatamente il contesto geologico, la natura geologica del territorio. Questo vale sia per le frane che per i terremoti e le alluvioni.

Oggi qualsiasi nuova opera, per legge, deve essere accompagnata da una relazione geologica e geotecnica, ancora prima del progetto ingegneristico. Del resto fu proprio negli anni '60, dopo il Vajont, che nacque la geologia applicata all'ingegneria.

Libri, film e opere di teatro sul disastro del Vajont

Ci sono libri, film e rappresentazioni teatrali realizzate sul Vajont. Si segnala "Sulla pelle viva" di Tina Merlin, e "La storia del Vajont" raccontata dal geologo Edoardo Semenza, "Il racconto del Vajont, conosciuto anche come Vajont 9 ottobre '63 - Orazione civile", monologo teatrale realizzato nel 1993 da Marco Paolini, il film "Vajont - La diga del disonore", un film del 2001 diretto da Renzo Martinelli.

Per approfondire il lato geologico di questo enorme disastro un primo avvicinamento alla frana del Vajont può essere fatto consultando sul web la mostra “La storia del Vajont”, curata dall’Associazione Italiana di Geologia Applicata ed Ambientale e dal Consiglio Nazionale del Geologi.