Clima: verso COP26, quali speranze da Glasgow?
Grande attesa per la ripresa dei negoziati ONU sui cambiamenti climatici, fra le speranze dei giovani e i timori di un ennesimo fallimento. Perché serve ancora una COP se c’è l’accordo di Parigi sul clima? Di cosa si parlerà nella COP26?
Ferve l’attesa per l’imminente vertice delle Nazioni Unite sul clima, la COP26. Fra le speranze di una svolta verso l’abbandono dei combustibili fossili e i timori di un fallimento negoziale come avvenne a Madrid (COP25), dopo un anno di forzata pausa delegati governativi, osservatori e giornalisti si ritrovano nuovamente per una Conferenza delle Parti, organo di governo della Convenzione ONU sul clima.
L’appuntamento è a Glasgow da domenica 31 ottobre a venerdì 12 novembre. L’evento si svolgerà sotto rigidi protocolli per prevenire focolai di COVID-19, del resto il negoziato sul clima è troppo complesso per essere svolto in remoto. Ecco di cosa si discuterà all’evento co-organizzato da Regno Uniteo e Italia.
Perché ancora una COP?
Le COP si svolgono ormai da trent’anni. Nonostante l’obiettivo di stabilizzare le concentrazioni di gas serra a un livello non pericoloso per il sistema climatico dal 1992 ad oggi le concentrazioni di CO2 sono aumentate da 350 ppm a 414 e le emissioni serra sono aumentate del 60%.
L’accordo di Parigi, stipulato a COP 21 nel 2015, prevede di limitare l’aumento delle temperature globali ben al di sotto di 2°C, stando possibilmente entro 1.5°C. Per farlo, dice l’accordo, dobbiamo andare a emissioni nette zero, ovvero azzerare o quasi le emissioni, e aumentare gli assorbimenti. Questi sono obiettivi comuni e vincolanti.
Gli impegni delle nazioni aderenti, però non sono stati negoziati e scritti nel trattato, ma sono presentati attraverso appositi NDC, impegni nazionali determinati, non vincolanti giuridicamente. Tutte le nazioni del mondo, inclusi USA, Cina, India, hanno aderito all’accordo e presentato impegni. Gli impegni totali però sono insufficienti e il mondo andrebbe verso uno scenario di oltre 3°C di riscaldamento, ritenuto dalla banca Mondiale incompatibile con la civilizzazione.
Tutti i paesi sono stati invitati a presentare nuovi NDC prima della Cop26 in linea con un obiettivo di 1,5 °C. Gli scienziati stimano che per stare in questo obiettivo le emissioni devono essere ridotte del 45% entro il 2030, per arrivare a zero entro il 2050.
Il nodo Cina e la crisi energetica
Il più grande emettitore assoluto, ma secondo come emettitore storico, la Cina, non ha ancora presentato i suoi nuovi impegni. Il presidente Xi Jinping ha annunciato lo scorso anno che la Cina raggiungerà il picco delle emissioni entro il 2030 per portarsi a emissioni nette zero entro il 2060. Difficile però che Xi Jinping partecipi a Glasgow.
A complicare il quadro del negoziato, la crisi energetica che incombe, con aumento dei prezzi e segnali di scarsità dei combustibili fossili. Questi elementi dovrebbero essere uno stimolo a puntare sempre di più sulla transizione energetica a energie rinnovabili.
Tuttavia molti paesi legati strettamente a petrolio e carbone, non hanno ancora presentato i loro NDC aggiornati, fra questi l’Arabia Saudita, l’Australia. Ultim’ora a sorpresa, la Russia si appresterebbe a presentare il suo NDC e Putin ha dichiarato che il paese punta alla neutralità climatica entro il 2060.
Il mercato del carbonio e i finanziamenti
Il commercio del carbonio è stato introdotto dal protocollo di Kyoto del 1997, come meccanismo mediante il quale i paesi ricchi potevano compensare parte delle loro emissioni serra attraverso commercio di quote di CO2 e compensazioni con opere virtuose, ad esempio tramite riforestazioni nei paesi in via di sviluppo.
Si tratta di un meccanismo controverso che è stato oggetto di abusi e di doppi conteggi con una sorta di contabilità creativa della CO2. Il commercio del carbonio è previsto dall'articolo 6 dell'accordo di Parigi. Le discussioni sull'articolo 6 hanno contribuito a far fallire l’ultima COP 25 di Madrid nel 2019.
La presidenza della COP 26 e il Regno Unito sperano che questa volta si possa arrivare a una regolamentazione del carbon market.
Altro tema spinoso, I finanziamenti per il clima ai paesi poveri. Previsti fin dalla COP 15 del 2009 in 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020, questi fondi dovrebbero per aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni e ripagarli dei danni degli eventi meteo estremi. I paesi in via di sviluppo chiedono fatti e non più promesse, nonché di aumentare i fondi dal 2025.
Previsioni per Glasgow
A meno di sorprese clamorose, COP 26 non deciderà tagli drastici e vincolanti delle emissioni. Anche i nuovi NDC difficilmente saranno in linea con l’obiettivo di 1.5°C. Le trattative di un negoziato infatti sono molto complesse e per evitare rotture come a Copenaghen nel 2009 devono conciliare esigenze molto diverse.
La presidenza COP 26 spera di garantire progressi sufficienti sui tagli alle emissioni per il 2030 per mantenere realizzabile, con ulteriori futuri tagli, l’obiettivo 1.5°C. Si lavorerà anche per arrivare all'eliminazione graduale del carbone, ridurre altri gas serra come il metano e per convincere le imprese, le istituzioni finanziarie e i governi sub-nazionali a definire piani per ridurre le emissioni in linea con 1,5°C.