Che fine fanno le perturbazioni che passano per l'Italia?
Le perturbazioni e i sistemi frontali più organizzati, che riescono a superare l’ostacolo degli Zagros, tendono in seguito a muoversi verso l’Afghanistan e il Pakistan centro-settentrionale per finire la loro corsa impattando sulle insormontabili catene montuose dell’Hindu Kush e del Kashmir indiano.
Negli ultimi anni si è potuto osservare che la maggior parte dei fronti perturbati e delle circolazioni depressionarie, incluse le famose gocce fredde in quota, che interessano l’Italia, tendono ad allontanarsi verso levante, spostandosi dapprima tra i Balcani e la Grecia, proseguendo alla volta del mar Egeo, Turchia e mar di Levante.
Molte di queste perturbazioni, raggiunto l’entroterra anatolico, causa la notevole forzatura orografica, tendono a colmarsi in semplici vortici troposferici alimentati dalla sola forza centrifuga (tipico per l’”Upper Level Low”).
Che fine fanno le perturbazioni che raggiungono l’Italia?
Alcuni si colmano fra il mar Nero, la Georgia e l’entroterra armeno, altri invece conservano l’energia sufficiente per poter proseguire alla volta della Turchia orientale, spingendosi sino nord della Siria e dell’Iran nord-occidentale, per andare successivamente a dissiparsi o più raramente ad essere assorbiti da saccature, propagate dal vortice polare, o più profonde circolazioni depressionarie in quota che regnano fra il Kazakistan e la Siberia occidentale.
Ma quando è presente un possente flusso perturbato zonale (fortissime correnti occidentali, dette anche “westerlies”), alimentato da un ricompattamento del vortice polare sopra il mar Glaciale Artico, le ciclogenesi mediterranee e i sistemi frontali che attraversano il Mediterraneo, dal mar Ligure e Tirreno al mar di Levante, inserendosi all’interno dell’impetuoso flusso occidentale che scorre nella media e alta troposfera, tendono a muoversi molto rapidamente verso l’area del medio oriente, effettuando il “landfall” fra le coste della Siria, il Libano ed Israele.
Più raramente le perturbazioni e i vecchi sistemi frontali di origine atlantica e mediterranea possono penetrare sui territori palestinesi, nel sud di Israele e sull’Egitto settentrionale, seguendo una traiettoria più meridionale che li conduce dritti in direzione dell’Arabia Saudita settentrionale e dei paesi dell’area del Golfo, dove possono apportare anche intense fasi di maltempo,
La traiettoria prevalente
In genere, in condizioni di intensa zonalità, le vecchie circolazioni depressionarie mediterranee e gli annessi sistemi frontali, dopo aver effettuato il “landfall” fra Turchia meridionale, Siria, Libano e Israele, pur indebolendosi sensibilmente, colmandosi in “Cut-Off” o “Upper Level Low” aggirati dalla robusta cintura anticiclonica sub-tropicale che dal Sahara occidentale si estende verso la penisola Arabica, riescono a muoversi dall’entroterra desertico siriano fin sull’Iraq e successivamente sull’altopiano iraniano.
Qui raggiungono la catena montuosa degli Zagros, la quale si prolunga per oltre 1500 km sull’Iran occidentale, estendendosi fino alla regione del Kurdistan. Di solito questi rilievi, che raggiungono la massima altezza con i 4548 metri del Zard Kuh (la vetta più elevata degli Zagros), con la loro mole imponente, sono in grado di bloccare gli impulsi perturbati provenienti da occidente, lasciando in “ombra pluviometrica” gran parte dell’altopiano iraniano centrale (da ciò si spiega la grande aridità del Dasht-e-Kavir, una grande regione desertica dove sono ubicati grandi laghi salati ormai prosciugati, come il Namak).
Il cimitero delle perturbazioni atlantiche
Le perturbazioni e i sistemi frontali più organizzati, che riescono a superare l’ostacolo degli Zagros, tendono in seguito a muoversi verso l’Afghanistan e il Pakistan centro-settentrionale per finire la loro corsa impattando sulle insormontabili catene montuose dell’Hindu Kush e del Kashmir indiano. Il vero “cimitero” dei fronti perturbati provenienti dal Mediterraneo.
Proprio su queste montagne i vecchi sistemi frontali di origine mediterranea arrestano il loro cammino, dissipandosi completamente. L’altezza delle montagne dell’Hindu Kush va a diminuire spostandosi verso ovest. Le vette situate nell’Afghanistan orientale superano i 7.000 metri. La più alta, il Tirich Mir (in territorio pachistano), raggiunge i 7705 metri (l’Everest, la montagna più alta del mondo, è alta 8.850 metri). Nella parte centrale, nella regione di Kabul, le massime altezze sono comprese tra i 4500 e i 6000 metri.
Poco più a ovest, variano tra i 3.500 e i 4000 metri. L’altitudine media della catena è di 4500 metri. L’intero sistema si estende in longitudine per poco meno di 1.000 chilometri. Molto spesso qui arrivano i fronti nuvolosi associati a vecchi sistemi frontali provenienti dall’Iraq e Iran o a depressioni in quota in fase di colmamento provenienti dall’est della Turchia e dal nord dell’Iran.
I sistemi nuvolosi, una volta impattati sulle catene montuose dell’Hindu Kush occidentale o sui rilievi del Kashmir indiano, dove si estendono le propaggini più occidentali della catena montuosa dell’Himalaya (la più elevata del pianeta con i suoi over 8000), vengono bloccati lungo i rispettivi versanti sopravento.
Divenendo stazionarie le perturbazioni possono così scaricare tutto il loro contenuto di umidità sul versante sopravento, attraverso intense precipitazioni nevose, capaci di depositare metri di neve fresca in alta quota.