19 luglio 1985, l'onda di fango travolge la Val di Stava: il ricordo del disastro sulle Alpi

Il 19 luglio del 1985 i due bacini di decantazione della miniera di Prestavèl, nel Trentino, crollarono. Acqua e fanghi si riversarono a valle travolgendo tutto, e 268 persone morirono. Ecco il ricordo del disastro della Val di Stava.

disastro val di stava 1985
Il 19 luglio del 1985, il disastro della Val di Stava in Trentino.

Il 19 luglio 1985 si verificò un gravissimo disastro presso la Val di Stava, in Trentino. L’argine di un bacino di decantazione in una miniera di fluorite collassò generando una enorme colata di fango, che a gran velocità discese la valle del torrente Stava.

Lungo il cammino il fiume di fango rase al suolo diversi centri abitati fra cui alcuni alberghi pieni di turisti. Morirono 268 persone, 47 edifici furono letteralmente cancellati.

Il 19 luglio del 1985 si compiono 38 anni dal disastro.

Il bacino di decantazione era stato costruito negli anni sessanta e faceva parte della vasta miniera di Prestavèl, che dava lavoro a oltre cento operai e tecnici. Il bacino serviva come discarica dei fanghi residui del processo di flottazione.

Questo metodo permetteva di estrarre il 97% circa della fluorite presente nella roccia, mediante un metodo di separazione che utilizzava molta acqua e degli emulsionanti. Una volta separata la fluorite dalla roccia macinata, il prodotto di scarto veniva convogliato in un piccolo lago artificiale, i cui argini erano costituiti da limi e argille.

19 luglio 1985, il disastro di Stava sulle Alpi del Trentino

Il 19 luglio del 1985 alle ore 12.22, le sponde artificiali del primo bacino di decantazione cedettero coinvolgendo poi quelle di un secondo bacino, situato poco più a valle. L’acqua mista a materiale fino che costituiva gli argini costituì un flusso fangoso rapidissimo e con un’alta capacità distruttiva. Il flusso distrusse completamente i centri abitati della Val di Stava causando la morte di 268 persone.

Le condizioni degli argini erano instabili già dal momento della costruzione, per una serie di incredibili sottovalutazioni da parte dei costruttori della miniera. Ad esempio il bacino era stato costruito su terreni con risalita di acqua dal sottosuolo (falda affiorante), che non permettevano il giusto drenaggio delle acque. Inoltre la pendenza del versante era molto alta.

In sostanza il collasso degli argini fu dovuto alla loro scarsissima resistenza, in quanto saturi e in condizioni di instabilità. Ciò che avvenne fu un fenomeno che in gergo tecnico viene chiamato “liquefazione del terreno”.

Le responsabilità

Il processo che seguì il disastro portò alla condanna, dopo 4 gradi di giudizio, dei responsabili della costruzione del primo bacino, accusati di gravissimi errori e sviste nella fase di costruzione, dei direttori della miniera (che chiuse lo stesso 19 luglio), e altri responsabili della società concessionaria. Nessuno di questi però scontò la pena, grazie a condoni e pene ridotte.

Vennero inoltre condannate al risarcimento dei danni le società concessionarie e quelle responsabili dell’azione dei tecnici, come la Montedison Spa, l’Industria marmi e graniti Imeg Spa per conto della Fluormine Spa, Snam Spa per conto della Solmine Spa, Prealpi Mineraria Spa. Obbligata al risarcimento dei danni fu anche la Provincia di Trento.

Quello che emerse ancora una volta da questo disastro fu l’estrema fragilità del territorio italiano, costituito da rilievi montuosi che incombono su centri abitati, aree soggette a inondazioni e frane, ma anche e soprattutto la criminale irresponsabilità di imprese che mettevano al primo posto il profitto economico trascurando la sicurezza della popolazione, e l’irresponsabilità di una parte degli enti pubblici, che pur avendo il compito di tutelare territorio e popolazioni non seppero garantire la sicurezza dei cittadini, omettendo o svolgendo male i controlli.

Il ricordo del disastro

In seguito al disastro nacque la Fondazione Stava 1985, che oltre a mantenere viva la memoria di quanto accaduto attraverso un sito internet e numerose iniziative, si batte per creare un senso di responsabilità in chi deve controllare e verificare la sicurezza delle popolazioni.

Non a caso la Fondazione è formata anche da superstiti del Vajont, altro disastro per certi versi simile, perché provocato dall’azione irresponsabile di chi, anche in quel caso, mise al primo posto il profitto senza considerare gli enormi rischi che correva la popolazione a valle.